Zingaretti incrocia le dita: vogliamo dettare l'agenda E rafforza l'asse col premier

Lunedì 27 Gennaio 2020
IL RETROSCENA
ROMA A urne ancora calde e gli exit poll che annunciano un precario successo di Stefano Bonaccini, nessuno al Nazareno si sbilancia. «Incrociamo le dita, speriamo bene. Ma se davvero finisse così», dicono nel quartier generale dem del Nazareno, «vorrebbe dire che paga la linea della serietà senza arroganza e del sostegno leale al governo Conte. Adesso però saremo esigenti».
Nicola Zingaretti tace. Ma i suoi annusano aria di vittoria per Stefano Bonaccini «e dunque per il Pd» in Emilia Romagna. «Anche se è indiscutibile», aggiunge uno stretto collaboratore del segretario, «che se davvero Stefano batterà la Lega, il merito sarà essenzialmente suo: se vince è grazie al voto disgiunto». E delle Sardine: «Hanno dato una grossa mano, hanno favorito la mobilitazione», dice il vicesegretario Andrea Orlando.
Anche Zingaretti distingue il possibile successo personale del governatore da quello del partito. «Però va detto che sembra che abbiamo tenuto bene. E io ci ho messo la faccia...». Anche per ribaltare «il bipolarismo uscito dalle urne del 4 marzo 2018. Allora c'erano solo Lega e 5Stelle. Adesso ci siamo noi e la Lega, si è chiuso il cerchio», chiosa il segretario.
Inevitabile un collegamento con la mancata alleanza elettorale con i 5Stelle. «Se Di Maio fosse stato più onesto e avesse annunciato prima la sua decisione di dimettersi», dicono al Nazareno, «ci sarebbe stata un patto elettorale con i grillini e Bonaccini e il governo non avrebbero rischiato così tanto...».
Già, il governo. L'intero partito, in primis l'ala che fa capo a Dario Franceschini, tira un grosso respiro di sollievo. Dalle urne, se gli exit poll verranno confermati, non esce rafforzato solo il Pd, ma anche e soprattutto l'esecutivo rosso-giallo. E l'ambizione di Zingaretti e Franceschini, ora che sembra passata la Grande Paura, è dettare un'agenda marcata dem. «Ma senza arroganza». A cominciare dai nodi della prescrizione e delle concessioni autostradali, per finire con una riforma dell'Irpef targata Roberto Gualtieri.
«Ci dovrà essere una svolta programmatica improntata sui nostri valori», dice con piglio un ministro di peso, «i grillini hanno dimostrato la loro irrilevanza nelle urne e ora saremo noi a dettare il timing e i contenuti della verifica di governo. Che dovrà essere seria per portarci al 2023». Segue minaccia: «Speriamo che l'ala dei 5Stelle vicina a Di Maio e Renzi capiscano la situazione e la smettano di fare i guastatori. Non può essere solo il Pd il partito della responsabilità, altrimenti si potrebbe fare anche qualcos'altro...».
Cosa, il ministro non lo dice. Ma è una minaccia che serve per tentare di mettere in riga gli alleati, non a far balenare scenari di crisi e di un nuovo premier. Tanto più che Franceschini già fa sapere che non ha alcuna intenzione di sostituire Giuseppe Conte «per fare un favore a Renzi». «Anche perché i 5Stelle non reggerebbero e non si sa dove si andrebbe a finire».
«AVANTI CON CONTE»
Insomma, si va avanti con l'ex avvocato del popolo. Anzi, si rafforza in caso di vittoria l'asse con il premier che nelle intenzioni di Zingaretti & C. dovrà riuscire a portare il Movimento «stabilmente nel fronte progressista, con alleanze organiche» alle elezioni regionali di primavera in Campania, Toscana, Marche, Puglia, Liguria, Veneto e Valle d'Aosta. «Se si governa insieme non si può essere avversari nelle urne, questa situazione non porta nulla di buono», predica nella notte Zingaretti. E ora che la temuta sconfitta appare alle spalle, il Pd cercherà di farsi sentire anche per la scelta del capo delegazione dei grillini al governo: il preferito è Stefano Patuanelli (Sviluppo economico) rispetto al suo antagonista Alfonso Bonafede (Giustizia) che continua a dar filo da torcere sulla prescrizione.
C'è poi il capitolo-Salvini. Se lo spoglio delle schede elettorali confermerà gli exit poll, per «Salvini sarebbe una pesante sconfitta: ha investito tutto nela sfida in Emilia e ha perso», dicono al Nazareno. E aggiungono: «Ora dovrà smetterla di fare lo sbruffone e di minacciare sconquassi. Presto Salvini andrà a processo per il caso Gregoretti e se verrà condannato si aprirà uno scenario del tutto nuovo...».
La possibile vittoria in Emilia spiana poi la strada a Zingaretti per un «congresso sereno». Il partito unito come non si vedeva da tempo, con anche la minoranza di Lorenzo Guerini e Luca Lotti allineata e impegnata a lottare «per l'unità», depotenzia il fronte favorevole alle elezioni. «Ma non è escluso», dice un dirigente dem, «che Nicola al congresso se la debba vedere con Bonaccini. E' il governatore emiliano che ha sconfitto i barbari praticamente da solo e non è escluso che presenti il conto. Probabilmente con la sponda di Beppe Sala e Giorgio Gori», gli esponenti dei partito dei sindaci dem.
Alberto Gentili
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci