Zingaretti: cambiare tutto le correnti ci soffocano

Domenica 14 Luglio 2019
LA GIORNATA
ROMA Salvini vade retro. E non, questa volta, per le posizioni sui migranti o per la sicurezza o per il Russiagate, no, Salvini vade retro proprio come modello di politica, di partito e di leadership. «Dico no al modello Salvini, al comando di una sola persona che è la premessa della solitudine e della sconfitta, dico no al partito del leader», scandisce Nicola Zingaretti dalla tribuna dell'assemblea nazionale, e tutti quelli che ascoltano capiscono subito che è di un altro uomo solo al comando che il segretario sta parlando, uno che i dem conoscono bene visto che è stato il predecessore proprio di Zingaretti alla guida del Pd.
Il segretario attuale archivia sul serio Matteo Renzi e la stagione del renzismo. Che poi questo porti a risultati strabilianti, politici ed elettorali, sarà tutta da vedere, ma tant'è, al momento nel Pd suona tutt'altra musica e l'attuale segretario è impegnato su tutt'altro spartito. Col che trovano conferma le voci che tra i due, Zingaretti e Renzi, sia ormai calata come una coltre fatta di disistima reciproca e di lontananza anche personale.
PREMIERSHIP-LEADERSHIP
Se prima il partito era, doveva essere, un leader anche candidato premier, un programma e una squadra di fedelissimi, adesso è e dovrà essere un leader primus inter pares, senza velleità di premiership, inclusivo, aperto e collaborativo con tutti. A sdoppiare le due cariche di segretario e premier, a unire le quali era proprio nato il Pd, ci penserà una apposita commissione di 15 nominata dall'assemblea con tutte le correnti dentro, che dovrà modificare lo statuto del Pd in uno dei punti cardine tirando poi le somme in autunno.
Accanto a questo lavoro per reimpostare il Pd dall'epoca del maggioritario a quella, attuale, del proporzionale, ma anche per ricondurlo a forza normale che cerca l'alleanza con altri senza imporre le proprie regole, Zingaretti ha suonato la carica su un altro, storico se non atavico problema, quello delle correnti. «Siamo l'unica forza che può costruire l'alternativa a questo governo e a questa maggioranza, ma con un partito così non ce la potremo mai fare», ha incalzato Zingaretti. Un partito così come? «Siamo un arcipelago di correnti, dobbiamo cambiare tutto, così non si può andare avanti, basta con questo arcipelago dove si esercita il potere, basta con un regime correntizio che soffoca tutto», il crescendo zingarettiano, che poi ha puntato il dito su realtà territoriali dove ognuno ci ha potuto leggere, probabilmente, nomi e cognomi: «Ci sono realtà territoriali feudalizzate, ma c'è ancora un patrimonio di militanti prezioso. Serve una rivoluzione o non ce la facciamo».
E' la tesi che nel Pd circola da tempo, quella secondo cui, come ha spiegato più volte il veltroniano Walter Verini, «alcuni capi locali magari portano qualche voto, ma sono di più quelli che perdiamo presentandoci con quelle facce e quei metodi politici». Sarà tutto un lavoro che troverà conclusione in autunno a una convention bolognese che discuterà insieme di riforma del partito e di proposte per il Paese. Già. Perché Zinga prosegue nel frattempo il suo lavoro per la Costituente delle idee, l'altro tassello della sua strategia, con proposte quali l'istruzione gratis per chi è sotto i 25 mila euro di reddito, con un piano di miliardi per le infrastrutture e per la green economy.
L'AFFAIRE MOSCA
Sul piano politico generale, il segretario dem è tornato ad attaccare Salvini per l'affaire Mosca, ha ridipinto il capo leghista come l'uomo nero e il vero nemico, «vuole rinnegare le alleanze internazionali dell'Italia dal dopoguerra», mentre con i 5Stelle è stato molto più generoso, «hanno perso l'anima, sono diventati l'amara stampella di una poltica che non è la loro». Un'analisi che ripropone il tema di dialogare non con il M5S in quanto tale, ma con gli elettori, tanto che Zinga lo dice pure chiaro, «hanno perso l'anima e i loro elettori se ne sono accorti». Ma non è stata un'assemblea di scontro politico. Scarsa, al contagocce, la presenza delle minoranze, renziane e non, nessun intervento di vera polemica, tanto che la nomina dei due vicesegretari, Orlando e De Micheli, passa con soli 4 voti contrari e 28 astensioni. Al termine dei lavori, a Zingaretti arrivano due placet molto graditi. Uno da Romano Prodi: «Bene, abbiamo bisogno di nuove idee e di nuove persone». L'altro da Achille Occhetto: «Zingaretti sta facendo bene nel suo tentativo di far riemergere il Pd come forza della sinistra e di recuperare un rapporto con chi ha fatto la scissione».
Nino Bertoloni Meli
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci