Viminale in allerta sull'aumento delle partenze: «È una strategia per alzare la posta degli aiuti»

Lunedì 21 Gennaio 2019
IL FOCUS
ROMA La Libia torna a battere cassa: Roma chiude i porti Tripoli li apre. Un copione già visto: le partenze riprendono, una strategia già messa in atto negli anni passati. I numeri preoccupano il Viminale, per quanto Matteo Salvini non intenda arretrare di un passo dalla decisione di chiudere i porti, la situazione rischia di precipitare, con un numero di vittime che rischia di crescere e rischia di diventare un boomerang per il titolare del Viminale, dal punto di vista politico e nei rapporti con l'Europa.
Ma c'è anche un altro nodo. Perché è questa volta, dietro la nuova ondata di disperati che salpano senza controllo o vengono abbandonati in mare su imbarcazioni di fortuna, ci sarebbe anche la volontà di ricordare al governo italiano gli impegni assunti e disattesi. In gioco c'è anche quell'accordo firmato da Berlusconi nel 2008 ripresentato a giugno a Matteo Salvini: l'investimento italiano di 5 miliardi in 20 anni per realizzare opere infrastruttrali in Libia.
Il primo passo, appena una briciola rispetto alle richieste, per mostrare alla Libia una volontà di collaborazione e ottenere il risultato di continuare a controllare le partenze, Matteo Salvini lo aveva fatto al suo ritorno da Tripoli. Il decreto Toninelli era stato blindato ad agosto dalle firme del premier Giuseppe Conte, dello stesso Salvini, del titolare della Farnesina, Enzo Moavero Milanese, e del ministro dell'Economia, Giovanni Tria: dodici motovedette e due unità navali della Guardia di finanza di 27 metri pronte a entrare in azione sotto il controllo della guardia costiera libica. E tra le polemiche il provvedimento era stato votato da Camera e Senato. Ma le motovedette non sono mai partite. Le promesse di Matteo Salvini andavano oltre, perché i libici, chiamati a sorvegliare la propria area Sar, appena riconosciuta, volevano anche altri aiuti. Che sembrano rimasti sospesi. Nelle more non si è più saputo nulla del dialogo tra il titolare del Viminale e Tripoli.
IL DECRETO
Dopo l'approvazione del decreto alla Libia abbiamo consegnato solo le sue navi della Finanza, la G 92 Alberti e la G 115 Zanotti, lunghe 27 metri. La riparazione della prima, vecchia vent'anni, è costato quasi 400mila euro. Invece nulla è stato fatto per quella parte del decreto che riguardava il «rafforzamento della flotta libica» attraverso la cessione delle dodici motovedette. Il ritardo sarebbe legato a problemi di trasporto. Difficoltà tecniche hanno impedito il buon esito della trattativa, almeno da parte nostra. Ed evidentemente anche da parte dei libici che, con la nuova ondata di partenze, adesso sembrano ricordare a Roma quali fossero gli impegni assunti.
IL VECCHIO ACCORDO
L'accordo, che aveva lo scopo di «chiudere definitivamente il doloroso capitolo del passato» nei rapporti tra i due paesi era stato firmato con Gheddafi e votato dal Parlamento nel 2009. Prevedeva investimenti di 5 miliardi di dollari in 20 anni da destinare a infrastrutture (250 milioni di euro all'anno). I libici avrebbero beneficiato delle opere realizzate, ma il denaro sarebbe tornato completamente indietro, con il pagamento delle commesse alle imprese italiane. A giugno Matteo Salvini, in occasione del suo primo viaggio in Libia e dell'incontro con Fayez al Serraj, a sorpresa, si era ritrovato a discutere del vecchio accordo di amicizia firmato nel 2008. Anche nell'ottica di una certa continuità, almeno dal punto di vista libico, visto che a siglarlo, da ministro dell'Interno, era stato il suo compagno di partito Roberto Maroni. Una posta molto alta, quella pretesa da Tripoli, legata, nella strategia libica, all'importanza che la questione immigrazione riveste per il governo. La richiesta è stata ripresentata un mese dopo a Moavero. L'accordo prevedeva tra l'altro la costruzione di un'autostrada litoranea di 1700 km dal confine tunisino a quello egiziano sul tracciato della via Balbia. Il primo lotto dell'opera era stato assegnato a Impregilo, ma la caduta di Gheddafi e la forte instabilità del Paese aveva costretto l'azienda a sospendere i lavori. Le autorità libiche avevano garantito a Moavero la possibilità che le imprese italiane tornassero in Libia. Questioni rimaste sospese. Sulle quali, adesso la Libia batte cassa.
Valentina Errante
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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