Verona, batterio killer Ci sono sette indagati tra dirigenti e medici

Giovedì 7 Ottobre 2021
Verona, batterio killer Ci sono sette indagati tra dirigenti e medici
L'INCHIESTA
VERONA Il caso era scoppiato a novembre 2019 con la morte della piccola Nina, una bimba di sette mesi uccisa da un'infezione da batterio che le aveva colpito il cervello. Quel batterio era il Citrobacter contratto nel reparto di ostetricia dell'ospedale Borgo Trento di Verona. Sono passati quasi due anni e la Procura veronese ha appena iscritto sette persone nel registro degli indagati. Le ipotesi di reato sono omicidio colposo e lesioni colpose gravi e gravissime in ambito sanitario. È l'esito dell'inchiesta partita per fare luce su una vicenda terribile: in due anni sono morti quattro neonati e ne sarebbero stati infettati almeno altri ottantacinque, una decina con danni gravissimi.
CHI SONO
All'epoca dei fatti gli attuali indagati erano tutti vertici e medici della struttura ospedaliera Borgo Trento. Sono coinvolti nell'inchiesta l'ex direttore generale Francesco Cobello (attuale direttore della Fondazione Scuola Sanità Pubblica), l'ex direttore sanitario Chiara Bovo (ora alla direzione della funzione ospedaliera di Schiavonia nel Padovano) e il direttore medico della struttura Giovanna Ghirlanda. Sotto inchiesta anche il primario di Pediatria Paolo Biban e il direttore delle Malattie Infettive Evelina Tacconelli, uno dei simboli veronesi della lotta al Coronavirus. Nel registro degli indagati anche l'ex primario facente funzione di Microbiologia e Virologia Giuliana Lo Cascio (ora a Piacenza) e il risk manager della struttura Stefano Tardivo.
Biban, Bovo, Ghirlanda e Lo Cascio erano stati sospesi con provvedimento della direzione dell'Azienda ospedaliera il 5 settembre 2020 e poi erano rientrati al lavoro.
LE ACCUSE
La Procura di Verona si basa sulle dettagliate relazioni degli ispettori della Regione Veneto, secondo i quali il focolaio epidemico era attivo fin dal 2018. All'origine ci sarebbe stato l'utilizzo di acqua proveniente da un rubinetto contaminato per la preparazione del latte in polvere destinato ai bambini. Questa ricostruzione è riportata nei documenti della commissione tecnica esterna coordinata da Vincenzo Baldo, professore ordinario di Igiene e Sanità pubblica dell'Università di Padova.
Il 12 giugno 2020, quando i contagi aumentarono e partirono le proteste delle mamme delle piccole vittime, il punto nascite fu chiuso e sanificato. Ora i magistrati vogliono accertare le responsabilità, capendo se tutti avessero messo in atto le precauzioni per evitare il propagarsi dell'infezione.
LA PROCURA
Due anni fa la vicenda provocò un grande clamore a livello nazionale anche per effetto delle accese proteste di Francesca Frezza, la madre che per prima decise di alzare la voce davanti all'ospedale per denunciare il caso del batterio-killer. Sua figlia Nina, nata al reparto di Ostetricia veronese, morì 229 giorni dopo all'ospedale Gaslini di Genova.
«L'obiettivo - spiega ora la procuratrice di Verona Angela Bargaglio - è verificare se la condotta dei sette indagati sia stata corretta o abbia potuto causare le morti e i danni subiti dai neonati. L'indagine parte dalla relazione presentata dalla Commissione regionale d'inchiesta, nel 2020, che però ha fatto un quadro generale della vicenda. A breve la Procura nominerà i suoi consulenti per analizzare nello specifico tutti gli aspetti, medico-legali  tecnici e organizzativi. L'iscrizione nel registro degli indagati - chiude la procuratrice - permetterà agli indagati di nominare i loro consulenti di parte».
Gabriele Pipia
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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