Venti di crisi

Domenica 16 Febbraio 2020
IL RETROSCENA
ROMA La quasi crisi rosso-gialla supera il portone del Quirinale. Giuseppe Conte, in gran segreto, ieri mattina è andato a far visita a Sergio Mattarella nell'appartamento privato. Al capo dello Stato, il premier ha rivelato di avere «numeri certi anche in Senato», se Matteo Renzi dovesse strappare, come appare ormai probabile.
Conte ha confidato di voler arrivare «quanto prima a un chiarimento definitivo», con parole più o meno di questo tipo: Con Renzi non si può andare avanti, è uno stillicidio, ormai si muove come un leader dell'opposizione. Sta danneggiando il governo. E ha illustrato il piano per provare ad allargare la maggioranza a un drappello di responsabili, sperando di tenersi qualche senatore di Italia Viva: alla prima occasione, al primo incidente parlamentare, Conte chiederà la fiducia. Linea sostenuta - c'è chi dice con più prudenza e meno irruenza - dal Pd.
Il premier ha poi rivelato a Mattarella il suo smarrimento per la strategia scelta da Renzi con un discorso suonato più o meno così: Ho provato a fargli fare chiarezza approvando il lodo sulla prescrizione, ma ha alzato un muro di gomma. Però ha fatto sapere che a Pasqua sfiducerà Bonafede. Mi dica com'è possibile andare avanti?.
A far trapelare la notizia dell'incontro è stato palazzo Chigi, con l'intento di mettere sotto pressione Renzi. Dal Quirinale invece non filtra nulla. Chi ha parlato nelle ultime ore con il capo dello Stato però confida: «Deve essere il presidente del Consiglio a compiere le scelte e ad assumersene la responsabilità. Mattarella non è un arbitro che fischia, non è uno che interviene nelle dinamiche parlamentari. Però anche lui condivide la necessità di un chiarimento per superare questa situazione di eccessiva fibrillazione che sta producendo uno stallo nell'azione del governo».
Conte - che palazzo Chigi descrive impegnato alla stesura del programma per il rilancio dell'esecutivo fino al 2023 - anche giovedì aveva parlato con il Presidente. Ma si era limitato a una telefonata, anche per evitare di drammatizzare ulteriormente la situazione salendo ufficialmente al Quirinale. Percorso che nella prassi, in questi frangenti, fanno i premier prossimi alle dimissioni. In quel colloquio, Conte aveva annunciato al capo dello Stato l'intenzione di sfidare Renzi. Di metterlo con le spalle al muro: «Serve un chiarimento definitivo, ne va della sopravvivenza del governo. Voglio andare a vedere le carte di Renzi». In più, aveva anticipato l'intenzione (condivisa dal Pd, 5Stelle e Leu) di inserire il lodo sulla prescrizione, quello su cui il capo di Italia Viva aveva posto il veto, nella riforma del processo penale. Cosa avvenuta poche ore più tardi in Consiglio dei ministri, assenti le renziane Bellanova e Bonetti.
Mattarella, come è avvenuto ieri, aveva ascoltato. Per poi convenire sul fatto che le continue liti nella maggioranza sono effettivamente un danno per il Paese. Perché provocano una paralisi nell'azione di governo, mentre mai come in questa fase in cui la recessione torna ad affacciarsi minacciosa è indispensabile un esecutivo compatto, pienamente efficiente ed operativo. Insomma, anche per Mattarella era e sarebbe utile un chiarimento per superare l'immobilismo e dare una visione all'esecutivo.
Da lì a pochi minuti, Conte aveva imbracciato l'artiglieria contro il leader di Italia Viva. L'aveva accusato di fare «un'opposizione aggressiva e maleducata». Aveva tuonato: «Basta ricatti!». Per poi definire «assurdo e paradossale» che Renzi minacciasse di sfiduciare Bonafede: «Mica un semplice ministro, ma il capo delegazione del partito di maggioranza relativa in Parlamento...».
CRISI & GOVERNO ELETTORALE
Ebbene, la situazione da giovedì è peggiorata. E se, com'è probabile vista anche la determinazione di Renzi a sfrattare Conte da palazzo Chigi («in piedi ne resterà solo uno, o lui o me»), il premier cercherà di cambiare la maggioranza, sarà indispensabile un passaggio in Parlamento. Probabilmente in Senato, dove i numeri sono più risicati. Con una nuova fiducia. E qui nascerebbe il Conte ter, che il premier ha smentito di voler realizzare appena poche ore fa.
Se questa operazione dovesse fallire e si aprisse la crisi, il capo dello Stato (come ha fatto filtrare più volte) non farà nulla per far nascere una nuova maggioranza politica. Della serie: dopo Conte ci sono solo le elezioni. E così sarà. Se la coalizione rosso-gialla non dovesse reggere, il capo dello Stato affiderà dunque l'incarico a un premier tecnico (si parla della ministra degli Interni Luciana Lamorgese) per guidare un esecutivo elettorale che traghetti il Paese verso le urne a settembre. Prima non si può a causa del referendum sul taglio dei parlamentari e i successivi aggiustamenti dei collegi elettorali.
Alberto Gentili
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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