Un'altra vittoria mutilata dei grillini Dalla Tav al Tap, storie di retromarce

Giovedì 16 Luglio 2020
IL CASO
ROMA Se ne dicon di parole nell'ansia di vedere il bicchiere mezzo pieno a tutti i costi. Sono parole guerriere, tipo quelle di Dibba, che però ne nascondono una, fondamentale: revoca. E così anche nella complicata partita di Autostrade, la rivoluzione annunciata dal M5S si compie a metà, ma anche meno, con un futuro ancora tutto da scrivere. Al di là della pistola carica sbattuta sul tavolo: se non saranno rispettati i patti si procederà con la revoca. Va bene, ma intanto?
Eppure sulla richiesta di revoca delle concessioni alla famiglia Benetton i pentastellati hanno investito in questi quasi due anni energie, promesse a buon mercato, spremute di populismo, post su Facebook. Sempre con lo stesso meccanismo: volare alto, altissimi, salvo poi accorgersi che, insomma, ci sono regole, trattative, costi, rischi, mercati da rispettare, cause ed effetti. E dunque se ci si può affacciare dal balcone di Palazzo Chigi per urlare «di aver abolito la povertà» dopo il reddito di cittadinanza, si può dire di tutto.
I PRECEDENTI
E la storia del M5S al governo, con la Lega come con il Pd, è disseminata di cerchi che non si chiudono. C'è l'imbarazzo della scelta. La Tap, per esempio. Dopo mesi di campagna elettorale permanente e un mucchio di voti alle ultime politiche in Puglia, lo scorso ottobre le truppe guidate all'allora da Luigi Di Maio si accorsero che bloccare l'opera sarebbe stato impossibile. Perché? Bloccare il gasdotto che dall'Albania arriva alle coste pugliesi, sarebbe costato «penali per quasi 20 miliardi di euro», dissero i grillini davanti alla realtà nuda e cruda. E poco importa se tecnicamente fossero risarcimenti - in quanto non si tratta di un'opera pubblica - perché alla fine l'effetto non cambiò: non possumus.
E si capirà adesso, il prossimo settembre, se la Puglia, una volta Puglia felix, sarà ancora così generosa con i pentastellati. Anche perché sempre per rimanere in zona c'è un altro dossier che scotta: l'Ilva. E qui bisogna andare a pescare tra i post di Beppe Grillo, quando nel 2018 lanciò l'idea di trasformare la pià grande acciaieria d'Europa in un parco bonificato stile Bacino della Ruhr in Germania. Il tutto condito da reddito di cittadinanza e fondi Ue a tutela del lavoro e conversione elettrica o turistica dell'impianto. Anche qui insomma la faccenda è girata diversamente ed è di queste ore la sfida molto più realistica del ministro Stefano Patuanelli di dire stop al carbone.
Troppo facile, salendo su per lo Stivale, ricordare la Tav, altra macrovertenza territoriale, grido di battaglia finita con l'imbarazzo di chi fa finta di nulla, alzando i tacchi e fischiettando. Anche qui, dondolati dal vagone, dopo anni di proclami tutti i big del M5S si sono ritirati in buon ordine. «Siamo realisti, vogliamo l'impossibile», era il motto del Che. Che qui però viene catapultato dalle evidenze. E allora la mossa di agitare la revoca, secondo la sfilza di ministri pentastellati gaudenti, sembra essere nel caso di Aspi una fine strategia del premier. Sarà anche così, ma a forza si accelerazioni e brusche frenate le parole i no diventato sì, i mai si può fare. E adesso toccherà al Mes: bisogna ricordare anche qui gli annunci della vigilia?
Simone Canettieri
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci