Trump su Khashoggi: «Punizioni dure se sauditi colpevoli» `

Domenica 14 Ottobre 2018
Trump su Khashoggi: «Punizioni dure se sauditi colpevoli» `
IL CASO
NEW YORK L'orrore davanti alle prove crescenti che il giornalista Jamal Khashoggi sarebbe stato decapitato dentro il consolato saudita di Istanbul, obbliga anche Donald Trump, che dei sauditi è antico amico, ad assumere posizioni critiche e di condanna: «Si sta indagando ha detto il presidente in una intervista che andrà in onda stasera alla Cbs -. Si sta considerando la questione in modo molto, molto attento». E nel caso fosse confermato quello che tutti oramai credono, «ci sarà una punizione severa».
Trump sembra prometterlo con sincerità, mentre esprime condanna per l'atto «disgustoso, terribile». E tuttavia, le ipotesi di sanzioni contro Riad non gli sorridono, e neppure l'idea di troncare la vendita delle armi al regime saudita: «Sto pensando ai posti di lavoro delle industrie americane», si difende. Trump si trova effettivamente su un terreno delicato: da un lato c'è il presidente turco Tayyip Erdogan che chiede sostegno da parte degli americani perché vuole condurre un'indagine dentro il consolato saudita. Dall'altra ci sono i sauditi, che non solo hanno profondi rapporti finanziari con la famiglia Trump, ma sono anche i principali alleati di Trump nella crociata contro il potere degli iraniani nel Medio Oriente.
Erdogan però è andato in vantaggio nel momento in cui ha rimesso in libertà il predicatore Andrew Brunson, che era stato arrestato nel 2016 e accusato di aver partecipato al fallito colpo di Stato contro Erdogan stesso. Il predicatore è arrivato alla Casa Bianca ieri pomeriggio, accolto dagli abbracci di Trump, che intanto aveva espresso il suo «caloroso apprezzamento da parte degli Stati Uniti, cosa che porterà a relazioni buone, forse ottime, tra Usa e Turchia».
Erdogan ha assicurato che «la decisione della magistratura turca è arrivata in modo indipendente», e Trump dal canto suo ha negato che ci siano stati negoziati perché Brunson venisse liberato, «Non faccio accordi per gli ostaggi» ha sostenuto. Con la possibile riapertura e saldatura dei rapporti con la Turchia, dopo mesi in cui sembravano correre verso una escalation di ritorsioni, Trump si trova però a dover fronteggiare l'Arabia Saudita, con la quale invece i rapporti procedevano d'amore e d'accordo.
I sauditi si sono spesso offerti di fare da trait-d'union fra Trump e il Medio Oriente, sono grandi acquirenti di armi, sono alleati contro l'Iran, promettono generosi investimenti negli Stati Uniti, e il principe ereditario Mohammed bin Salman sembra grande amico del genero del presidente, Jared Kushner. Il guaio è che se il giornalista Jamal Khashoggi, opinionista del Washington Post e critico della politica saudita, è stato ucciso in un consolato saudita, ciò non può essere successo senza il via libera, se non l'ordine esplicito del principe.
Forse per questo Trump ha promesso di fare una telefonata a Riad, ma ha detto che chiamerà il re, il padre del principe. Re Salman ha 82 anni, e ha lasciato buona parte dell'amministrazione del regno nelle mani del figlio Mohammad, ma è ancora il regnante e può risparmiare a Trump l'imbarazzo di parlare all'uomo sospettato di aver ordinato l'omicidio. Nessuno tuttavia si aspetta che Trump faccia una campagna agguerrita contro i sauditi. Anzi suo figlio Don Junior ha fatto intendere che non c'è poi tanta simpatia per la vittima: il figlio del presidente ha ritwittato un messaggio di gruppi di estrema destra, che avevano messo in giro una foto di Khashoggi quando negli anni Ottanta andò in Afghanistan a intervistare Osama bin Laden. Come dire: è un simpatizzante della jihad.
Anna Guaita
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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