Stretta in Friuli: didattica a distanza per 1 studente su 2

Sabato 24 Ottobre 2020
Paolo Simioni è il direttore di Medicina generale all'Azienda ospedaliera di Padova, un policlinico che attualmente conta il più alto numero di ricoverati Covid del Veneto: 15 in Terapia intensiva e 42 in altri reparti. Ma il primario è anche il presidente uscente dell'Ordine provinciale dei medici, che proprio in questi giorni va al rinnovo delle cariche. Un duplice osservatorio privilegiato da cui guardare all'emergenza sanitaria, fra aspetti clinici, misure restrittive, diatribe scientifiche, decisioni politiche.
Come valuta il clima di incertezza che pare avvolgere questa seconda ondata di contagi?
«Siamo di fronte a un nemico che conosciamo, a differenza del passato in cui non avevamo ben chiare l'entità di questa malattia e le modalità con cui affrontarla. Tra noi medici, pur nella preoccupazione che una situazione pandemica può generare, c'è la consapevolezza di avere molte più informazioni scientifiche per affrontare questa patologia con maggiore determinazione e sicurezza. Perciò abbiamo il compito di tenere la barra dritta, nella confusione che può alimentarsi per molte ragioni, a iniziare da un eccesso di comunicazioni non precise. Da queste non dobbiamo essere abbagliati o disorientati».
Siete preoccupati per la possibile saturazione delle strutture sanitarie, a cominciare dalle Terapie intensive?
«Il nuovo Piano regionale di sanità pubblica, molto ben dettagliato dal presidente Luca Zaia, è stato strutturato tenendo conto dell'evoluzione epidemiologica. Ecco, noi ci atteniamo a quello, perché dà indicazioni molto chiare sulla progressività nell'occupazione degli ospedali e sulle conseguenti misure da adottare. Mi pare che anche le direzioni generali delle aziende sanitarie siano sul pezzo minuto per minuto, per cui ci sentiamo guidati secondo una logica, a differenza di quello che magari può sembrare».
Le polemiche infatti non mancano. Cosa pensa dello scontro fra i docenti Giorgio Palù e Andrea Crisanti e, più in generale, delle divisioni interne alla comunità scientifica?
«Sono entrambi due illustri scienziati e ambedue hanno dato grandi contributi alla medicina, per cui si può imparare sia dall'uno che dall'altro. Ma non vorrei focalizzarmi su loro due, il tema del personalismo scientifico è visibile tutti i giorni nei talkshow televisivi. Evidentemente la pandemia determina posizioni diverse, dettate a volte da aspetti di poca chiarezza, altre da esperienze estere con interpretazioni difformi. Credo però che gli elementi fondamentali da tenere in considerazione siano il buon senso clinico e la capacità di lettura dei dati epidemiologici, con i quali compiere i passi utili a fronteggiare l'emergenza sanitaria. Al di là delle posizioni singole e conflittuali, l'obiettivo condiviso dev'essere quello di arginare un virus che ci accompagnerà per tutto l'inverno fino alla primavera. E questa non è una gara di 100 metri, ma una maratona, in cui bisogna dosare bene le energie».
Senza troppi protagonismi?
«Il protagonismo è sempre soggettivo. Secondo me i veri protagonisti sono quelli più silenziosi e poco visibili».
In questo momento il 97% dei positivi in Veneto è asintomatico: crede che andrebbero riscritte le regole di sanità pubblica, o sarebbe rischioso?
«Sul totale dei contagiati, c'è comunque un 3% di persone che manifesta sintomi e, al suo interno, una parte che sviluppa la malattia in forma molto grave. Con questo intendo dire che un dato non è più importante dell'altro e che comunque sono tutti collegati, solo che ora ne viene valorizzato uno e ora un altro, a seconda del contesto in cui ci si trova e della valutazione che deve essere fatta. Pertanto lascerei agli epidemiologi e ai decisori l'interpretazione di quelle che sono facce della stessa medaglia».
Il sistema di tracciamento dei contatti è al limite: cosa pensa dell'app di biosorveglianza, proposta dal Veneto come soluzione al pericolo di collasso?
«Ben venga anche l'informatica, tutto quello che può aiutare è utile. Ma insieme al tracciamento, serve molto senso civico. Bisogna che i cittadini ci aiutino ancora una volta, al di là delle direttive che vengono imposte. Servono consapevolezza e maturità da parte di tutti, per non esporre se stessi e gli altri al rischio dell'infezione. Ecco allora la mascherina, il distanziamento sociale, l'igiene delle mani: non sono cose dette tanto per dire, sono le armi migliori che abbiamo».
Come vede la scuola?
«Siamo in una fase delicata, quella in cui si decide se riusciamo a resistere o se gli argini si rompono. C'è stato uno sforzo veramente encomiabile nell'organizzazione delle lezioni in presenza e in sicurezza, però il problema dei trasporti è evidente. Se dovesse sfuggire di mano la situazione dal punto di vista dei contagi, a causa della poca responsabilità di una parte dei cittadini, per quanto le scuole e le università possano impegnarsi, sarebbe molto difficile riuscire a tenere il virus fuori dalle aule e bisognerebbe tornare alla didattica a distanza».
Vaccini antinfluenzali introvabili per chi non rientra fra le categorie a rischio: cosa si fa?
«Stiamo spingendo al massimo a livello di Ordini, e con noi c'è anche la Regione, per far aumentare la disponibilità di dosi. Più aumentiamo la copertura vaccinale e meno problemi avremo nella diagnosi differenziale. Sappiamo che l'influenza può dare complicanze anche molto gravi: se ne abbattiamo almeno una parte, avremo più risorse per affrontare meglio il Covid. Un'emergenza che vede ormai da otto mesi in prima linea i medici ospedalieri, di famiglia, universitari: colgo l'occasione per ringraziarli tutti, perché non hanno mai smesso di combattere».
A.Pe.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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