Sicilia e Sardegna: noi siamo pronti a chiudere Ma i governatori si dividono

Venerdì 23 Ottobre 2020
IL RETROSCENA
ROMA La Sardegna ci sta pensando. Il presidente Christian Solinas sta preparando l'ordinanza, l'idea è di firmarla lunedì: non ci sarà un lockdown, ma prende forza il progetto di chiudere i confini, porti e aeroporti, per potere affrontare in casa la trasmissione del virus, senza il problema - già vissuto questa estate - di dovere frenare l'arrivo di positivi dal resto d'Italia. La Sicilia sta valutando la stessa soluzione e il governatore Nello Musumeci lo ha detto a microfono acceso: «Non escludo di chiudere i confini. Noi abbiamo chiuso l'isola impedendo l'accessibilità al 92 per cento nei mesi drammatici della prima fase e non escludiamo di poterlo fare anche con altre misure restrittive nei prossimi giorni». La chiusura agli spostamenti tra Regioni fu uno degli interventi forti decisi nella prima fase dell'epidemia. Rispetto all'ondata iniziale, però, la situazione è differente, allora aveva un senso, perché la diffusione del virus era concentrata in alcune Regioni del Nord. Oggi è spalmata su tutto il Paese. Per la Campania, ad esempio, cambia poco se arrivano persone dalla Lombardia, perché l'incidenza è più o meno la stessa. Racconta Marco Marsilio, governatore dell'Abruzzo: «Capisco la Sicilia e la Sardegna, per loro è semplice, sono isole. Ma anche se decidessi di chiudere i confini dell'Abruzzo, che faccio, metto la polizia provinciale ai caselli autostradali? Mi pare impraticabile». Anche Giovanni Toti, governatore della Liguria, ritiene che non sia questa la soluzione, e comunque servirebbe un provvedimento del governo. Luca Zaia, presidente del Veneto, è contrario: «Se fermo i passaggi tra Regioni devo bloccare tutto, decidere che la mia comunità è la più sana delle altre, mettere una campana di vetro. Come posso accettare che mi arrivi un cittadino da Francia o Germania e mettere una barriera sulla Lombardia o sulla Campania? È un fatto psicologico, ma è limitativo da un punto di vista epidemiologico». Simile la posizione dell'Emilia-Romagna: Stefano Bonaccini al momento non crede che possa essere utile chiudere gli spostamenti da una Regione e all'altra. Stessa posizione di Nicola Zingaretti, nel Lazio.
L'ATTESA
Quando si parla con le varie Regioni c'è comunque sempre un passaggio chiave: «Almeno per adesso». Sì, perché tutto dipende dall'evolversi dell'epidemia, anche se limitare gli spostamenti tra Regioni dovrebbe comunque passare da un intervento del governo. Cosa pensano a Palazzo Chigi? Né un no, né un sì. Ma un time-out. Il premier Giuseppe Conte e i ministri Francesco Boccia e Roberto Speranza non chiudono affatto la porta all'ipotesi di sbarrare i confini regionali. Prima di dare l'eventuale e doloroso via libera allo stop della mobilità tra Regioni, il governo però si dà qualche giorno in più di tempo. Vuole capire «in quale misura la situazione continuerà a peggiorare». Perché, questo è ormai certo, dalla seconda ondata dell'epidemia non c'è ritorno. Per Conte, Boccia, Speranza e l'intero governo è solo questione di valutare con quale rapidità (esponenzialità) il Covid-19 si diffonderà nel Paese. E quando arriverà il momento della stretta generale, che servirà a omogeneizzare e a rendere più rigide alcune ordinanze comunali e regionali, scatterà anche la chiusura dei confini tra Regioni. E forse tra Comuni. Come è stato tra marzo e inizio giugno. Per ora, però, Conte preferisce che siano i sindaci e i governatori a stringere le maglie delle misure anti-Covid. Ciò non toglie che il governo voglia mantenere il coordinamento, la regia, dei provvedimenti locali. Non a caso oggi Boccia, assieme a Speranza, avrà una nuova riunione con i rappresentanti di sindaci e governatori per «coordinare e rendere omogenei» i provvedimenti territoriali.
Mauro Evangelisti
Alberto Gentili
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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