Rischio crac da 19 miliardi centinaia di fornitori in crisi e quasi 20 mila posti in bilico

Martedì 14 Luglio 2020
IL FOCUS
ROMA Perché il nuovo crollo di Atlantia in Borsa, probabilmente il peggiore (-15,1%) dall'inizio della drammatica vicenda del Ponte Morandi? La risposta è una sola: le dichiarazioni del premier Conte sulla revoca imminente, propalate ieri mattina dal Fatto Quotidiano. Un'anticipazione che a rigor di norma potrebbe essere duramente stigmatizzata, se non addirittura sanzionata dalla Consob che però ieri non sembra aver registrato la gravità del fatto. Il crollo del titolo è infatti diretta conseguenza delle parole del premier che, sebbene allo stato sia ancora incerto ciò che potrebbe accadere oggi, ha posto la filiera del gruppo Benetton nella condizione peggiore: l'effetto su Autostrade per l'Italia sarebbe l'immediato fallimento della società. Mancherebbero infatti, per gli effetti prodotti dall'articolo 35 del Milleproroghe, le risorse per la restituzione di 10 miliardi di posizione finanziaria netta. Il mercato dubita della capacità di Atlantia (che controlla l'88% di Autostrade ed è garante inoltre di circa 5 miliardi di debito della controllata) di far fronte ai 36 miliardi di posizione finanziaria netta: va detto che dal punto di vista della bancabilità del gruppo i creditori, cioè le banche, non hanno le stesse preoccupazioni del mercato. Nei giorni scorsi, secondo quanto risulta al Messaggero, i top banker dei principali istituti creditori si sarebbero consultati. Questo l'esito: il gruppo ha 81 miliardi di attivo, 5,8 miliardi di Ebitda. Aspi pesa per 21 miliardi di attivo e 1,8 miliardi di margine lordo. Senza Autostrade, la holding rimarrebbe con 3,8 miliardi di Ebitda a disposizione dei 36 miliardi di debito netto, pari a 9,1 volte. Nei loro calcoli i banchieri considerano che senza Aspi, l'attivo di ridurrebbe a 61 miliardi a fronte di una pfn di 36 miliardi, con uno scarto quindi di 25 miliardi circa. E c'è da tener presente che nella peggiore delle ipotesi, il gruppo avrebbe diritto a 7 miliardi di indennizzo per la revoca. In conclusione, se dai 36 miliardi di pfn si togliessero i 7 di indennizzo, ne rimarrebbero 29 di debiti netti da soddisfare con i 3,3 miliardi di Ebitda che potrebbero risalire a circa 5 miliardi per effetto della concentrazione sugli altri business ma anche perché il gruppo non sarebbe più costretto a rettifiche straordinarie.
Questo il ragionamento dei creditori, diverso quello del mercato che teme serie conseguenze sui prestiti obbligazionari visto che la maggior parte dell'impegno è rappresentato da titoli quotati detenuti da grandi investitori internazionali. Aspi ha anche emesso un bond retail per 750 milioni distribuito nei portafogli di circa 17.000 piccoli risparmiatori italiani.
LE ESPOSIZIONI
Per non dire dell'effetto che tutto ciò avrebbe sui grandi azionisti internazionali (il gruppo è presente in 24 paesi). In Aspi ci sono Allianz (che detiene il 7% assieme ai suoi partner), il fondo sovrano cinese Silk Road Fund (5%). Nella holding sono presenti il fondo sovrano di Singapore GIC (8,1%), la Fondazione Crt (4,8% del capitale) e i maggiori investitori istituzionali internazionali del mondo (società di gestione di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania e Australia) insieme ai quasi 40 mila piccoli azionisti italiani: miliardi di euro bruciati in men che non si dica. Uno scenario che creerebbe un precedente probabilmente unico sulla scena finanziaria internazionale, scoraggiando ogni nuovo investimento estero in Italia. A tutto ciò si aggiungano gli effetti sulla filiera dei fornitori, ai quali difficilmente verrebbero riconosciuti i crediti, provocando una catena di fallimenti piccoli e grandi che punirebbero anzitutto gran parte dei circa 20 mila lavoratori tra diretti, indiretti e indotto. Tra i creditori c'è anche Cdp con 3,1 miliardi, di cui 2,05 miliardi in capo ad Aspi, suddiviso in un prestito di 750 milioni del 2009 (tutto tirato) e in una rcf del 2017 di 1,7 miliardi frazionata in un term loan di 1,1 miliardi (400 milioni tirati) e 600 milioni, dei quali Aspi ha chiesto di recente di utilizzarne 200 ma Cdp ha aperto un tavolo negoziale. Per tutelare la sua esposizione, Cdp intende muoversi nell'operazione di sistema, in parallelo a F2i, casse di previdenza, Poste vita, fondi pensioni: tutti disposti a rilevare almeno il 70%.
Rosario Dimito
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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