Ricatti, rapine e droga: la strategia della banda che sognava in grande

Giovedì 2 Dicembre 2021
L'INCHIESTA
VENEZIA Il progetto di far rivivere l'antico splendore alla Mala del Brenta non poteva prescindere dal traffico di droga. I vertici della rinata organizzazione, Loris Trabujo e Gilberto Boatto, lo dicono a chiare lettere che intendono «impestare tutta Venezia di roba». L'inchiesta dei Ros di Padova e della Dda di Venezia ha in effetti portato alla luce quanto l'associazione dimostrasse «un crescente interesse per il traffico di stupefacenti - scrive il gip Barbara Lancieri nell'ordinanza di custodia cautelare - che, unitamente alle estorsioni e alle rapine, era destinato a diventare fonte primaria di sostentamento dell'organizzazione criminale».
Nel corso di questi cinque anni di indagini i carabinieri hanno ricostruito la mappa delle zone di interesse: l'obiettivo principale era riottenere il monopolio sul mercato della cocaina a Mestre, Venezia, Lido e Cavallino. Trabujo e Boatto avevano anche già predisposto un abbozzo della suddivisione dei territori: a Riccardo Cargnelli doveva andare l'area del centro storico veneziano, a Festim Shemellari il Cavallino e Claudio Bozzola l'area di Zelarino (quartiere di Mestre). Sono numerose le cessioni registrate, sempre con cadenza settimanale. Qualcuno dei cavalli (spacciatori al dettaglio) si faceva dare anche dieci grammi di coca a settimana. Il 20 dicembre 2018, per esempio, Cargnelli chiede a Boatto e Trabujo una fornitura importante per far fronte alle richieste nei giorni delle Feste natalizie. Siccome, però, è indietro con i pagamenti delle forniture precedenti, la risposta di Boatto non si fa attendere: «Se vuoi la roba la devi pagare! Sennò non ti diamo più un c...». L'uomo addetto al coordinamento e allo smistamento della droga era Cristian Michielon, che acquistava lo stupefacente a Padova, da Luca Livieri, o a Brescia, grazie a contatti di vecchia data di Boatto con la Mala Lombarda. Di questa facevano parte, per esempio, Luciano e Giuliano Strambini. Padre e figlio sono stati perquisiti in questi giorni e a casa di Giuliano i carabinieri hanno trovato ben due chili di stupefacente: è possibile che fossero destinati alla Mala veneziana. Un sistema diverso rispetto a quello usato in passato e citato più volte nei racconti di Boatto rivangando i fasti dei bei tempi andati: allora la droga arrivava dalla Colombia sottoforma di «giocattoli di cocaina». «Si si, poi c'era il chimico che la estraeva..».
IL PIANO RIZZI
L'ascesa della nuova banda doveva passare anche per la vendetta. Felice Maniero, certo, ma poi anche Paolo Tenderini e Alessandro Rizzi, detto doic. Parte tutto, anche questa volta, da un'intuizione di Boatto: «Ha la netta percezione che si debba compiere un atto eclatante - scrive il gip - perché la gente abbia di nuovo paura di loro». E quale atto può essere più eclatante di un omicidio di mafia alla vecchia maniera? L'obiettivo in questione è Alessandro Rizzi, ultimo superstite di quella che fu la banda dei giudecchini (i fratelli Massimo e Maurizio vennero uccisi da Paolo Pattarello e da Tenderini su ordine di Maniero). Incaricati della spedizione sono Pattarello e Pillot, che però si fanno scoprire scatenando l'ira di Boatto e Trabujo («sono due tumbani», «banda di mongoloidi», «gatti da magazzino»).
L'USURA
Cristian Michielon per la Mala non si occupava solo di droga ma anche, insieme a sua madre Fanny Comin, di prestiti a tassi usurai. E se i clienti non pagavano si occupava anche della riscossione. Un'attività che, stando alle parole dello stesso Michielon, avrebbe fruttato negli anni circa 430mila euro. «Quanto gli serviva a lui? Mille? Se vuole mille mi dà mille e cento». Da restituire in 60 giorni: un tasso del 120%. «Se non paghi paghi la multa, se non paga gli permetto di rinnovare ma non paga più 200, ma 250».
GLI INTERROGATORI
Ieri intanto sono iniziati gli interrogatori di garanzia degli arrestati. Il giudice per le indagini preliminari Barbara Lanceri ne ha già sentiti una decina, tra cui i due vecchi ritenuti al vertice della banda: l'ottantenne Gilberto Boatto e il 73enne Paolo Pattarello. Entrambi sono stati sentiti in videoconferenza, essendo stati portati in carceri fuori città, e si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. I difensori di Boatto, gli avvocati Stefania Pattarello e Giorgio Pietramala, hanno già annunciato che ricorreranno al Tribunale del riesame, puntando in particolare sull'età avanzata del loro assistito, circostanza per cui la custodia in carcere va motivata con ragioni di rilevanza eccezionale. Chi ha parlato, ieri, è stata Anna Pegoraro, ex compagna di Pattarello, attuale moglie di Roberto Sorato, un altro degli arrestati, accusata di aver facilitato i contatti tra i vari componenti della banda. Ha detto di essersi prestata a fare dei piaceri, per gentilezza, negando di aver fatto parte in alcun modo della banda. E totalmente estraneo alle accuse si è dichiarato anche Fabio Pintonello. Tutti gli altri si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Il giudice si è riservato di decidere. Al Tribunale del riesame, intanto, è ricorsa la stessa Procura che aveva chiesto il riconoscimento dell'associazione di stampo mafioso, mentre il gip ha contestato solo l'associazione a delinquere con l'aggravante dei metodi mafiosi. Un alleggerimento che ora sarà valutato dal collegio.
Davide Tamiello
Roberta Brunetti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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