Rapporto Ue: in Italia crescita record della spesa previdenziale fino al 2030

Domenica 26 Gennaio 2020
LA PREVISIONE
ROMA Le mosse in campo previdenziale di tutti i Paesi europei sono sempre all'attenzione della commissione di Bruxelles e questo vale naturalmente anche per l'Italia, che da una parte è in un certo senso all'avanguardia avendo già applicato riforme che altrove (vedi Francia) sono ancora oggetto di contestazioni, dall'altra si deve confrontare con i problemi più generali di sostenibilità dei conti, vista l'incidenza del debito pubblico. La posizione dei vari Stati viene passata in rassegna in un documento appena uscito, a cura del comitato per la Politica economica e di quello per la protezione sociale, aggiornato al 2019. Il testo riprende e mette insieme le recenti analisi tecniche dei due organismi consultivi delle istituzioni europee, evidenziando i progressi fatti in termini di riforma e le sfide sul terreno della sostenibilità e dell'adeguatezza delle prestazioni.
LE MISURE GIÀ PRESE
Il nostro Paese dunque può fare affidamento sull'effetto delle misure già prese negli anni scorsi: nel lungo periodo che va da qui al 2070 la spesa complessiva andrà a ridursi. Ma la cose vanno diversamente nell'arco di tempo relativamente più breve fino al 2040, quando ci sarà da fronteggiare una forte pressione sulle uscite previdenziali a causa dell'andata in pensione dei cosiddetti baby boomers: ovvero la numerosa generazione nata negli anni Cinquanta e Sessanta. Come esempio di questa tendenza da tenere sotto controllo il documento indica proprio l'Italia: viene ricordato che nel 2040 la spesa rapportata al Pil sarà 3,1 punti percentuali al di sopra del livello del 2016, raggiungendo il picco massimo. Nel decennio da qui al 2030 siamo il sistema con il maggior incremento di spesa (+1,6%) e il secondo (+1,4%) nei dieci anni successivi. E questo - osservazione molto importante - è già vero pur non includendo nei conteggi gli effetti delle recenti misure temporanee, ovvero proprio Quota 100 che è partita lo scorso anno. Dopo il 2040 invece si avrà una graduale riduzione delle uscite pubbliche per pensioni, indotta dall'entrata a regime del sistema contributivo (che a quel punto coinvolgerà la gran parte dei trattamenti) e dall'effetto dell'ancoraggio dei requisiti di uscita all'aumento dell'aspettativa di vita.
Il rapporto rimarca che «la spesa pensionistica è solo una delle varie voci di uscita collegate all'età che, in combinazione con i livelli di debito pubblico e con la restante spesa pubblica influisce sulla sostenibilità generale delle finanze pubbliche in assenza di maggiori entrate». Le altre voci da tenere in considerazione sono la sanità, l'assistenza, l'istruzione e gli ammortizzatori sociali.
IL MERCATO DEL LAVORO
Sul capitolo pensioni, la buona posizione del nostro Paese in prospettiva è evidenziata da un altro grafico inserito nel testo: con un'età effettiva di uscita dal mercato del lavoro ancora inferiore ai 65 anni non siamo attualmente ai primi posti a livello europeo, ma ci arriveremo nel 2055 con un livello medio già salito oltre i 68 anni. Allo stesso tempo il sistema italiano risulta oggi tra quelli relativamente più generosi in termine di importo degli assegni: con un tasso di sostituzione aggregato (ovvero il rapporto tra pensione mediana e retribuzione lavorativa mediana) superiore al 70 per cento siamo secondi solo al Lussemburgo, a fronte di una media continentale che non arriva al 60 per cento.
L. Ci.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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