Prescrizione, Iv vota con l'opposizione Slitta a oggi la fiducia sulle intercettazioni

Giovedì 20 Febbraio 2020
IL CASO
ROMA Le due proteste vanno in scena quasi contemporaneamente. Da una parte, in Senato, a scatenarle è la Lega sul decreto intercettazioni. Dall'altra, alla Camera, tutto comincia con la decisione di Italia viva di votare ancora una volta con le opposizioni sulla prescrizione. Due episodi diversi, ma con un fondamentale comune denominatore: oggetto dello scontro è la giustizia. Matteo Renzi lo ha scelto come principale campo di battaglia su cui muovere la sua offensiva alla premiership di Giuseppe Conte. Ma il nervo è talmente scoperto nella maggioranza che anche il Carroccio decide di approfittarne. L'esito è il caos parlamentare.
LO STRAPPO
Scena uno, commissione Giustizia di Montecitorio. Si torna a discutere della proposta di legge del forzista Enrico Costa che punta ad abolire la riforma Bonafede e, dunque, a cancellare lo stop della prescrizione dopo il primo grado di giudizio. I renziani - come già in altri passaggi sommano i loro voti con quelli delle forze dell'opposizione. Ma non bastano, visto che alla fine a passare con 24 sì e 23 no è invece un emendamento soppressivo del Movimento 5Stelle. Decisivo risulta dunque il voto della presidente della commissione, la pentastellata Francesca Businarolo.
LA PROTESTA
Le opposizioni protestano per questo ma anche perché non sarebbe stato consentito al deputato del gruppo Misto Alessandro Colucci, che aveva una delega, di esprimersi. In quel caso, si sarebbe chiusa con un pareggio. Businarolo si difende ricordando che i presidenti possono votare «quando è necessario per garantire la tenuta della maggioranza», come dimostrano numerosi casi precedenti. La riunione della commissione finisce a urla e spintoni e lo scontro si sposta in aula, con un appello a Roberto Fico affinché intervenga. Il Pd attacca Italia viva: «Chiarisca subito la sua posizione perché non è possibile stare contemporaneamente all'opposizione e al governo».
L'ACCORDO
Scena due, commissione Giustizia del Senato. Si vota il decreto intercettazioni sul cui la maggioranza ha trovato una faticosa intesa e su cui il governo in Aula è pronto a chiedere la fiducia. L'accordo raggiunto in extremis prevede che venga limitata la possibilità di utilizzare gli ascolti per provare un reato diverso da quello per cui erano stati predisposti. La Lega prova a scardinare quella fragile intesa e chiede di approvare anche un emendamento del senatore Simone Pillon che prevede di estendere l'utilizzo dei sistemi Trojan - un programma che non capta le intercettazioni ma permette di controllare i contenuti del singolo dispositivo - anche per il reato di detenzione di materiale pedopornografico. Il governo e la maggioranza, però, obiettano che si tratta di un reato con una pena massima di tre anni, mentre i reati intercettabili sono quelli con pena superiore ai cinque anni.
Il Carroccio protesta e occupa di banchi della commissione, viene convocata una conferenza dei capigruppo, la presidente Casellati media, si cerca un'intesa. La proposta della maggioranza alla Lega è quella di presentare un ordine del giorno ma per Pillon si tratta di una «presa in giro». La prima conseguenza del caos è lo slittamento dei lavori d'aula e anche della fiducia sul maxiemendamento che recepisce le modifiche apportate al testo durante l'iter in commissione. La questione di fiducia viene posta in serata per essere votata oggi. I tempi però sono strettissimi: il decreto dovrà infatti passare alla Camera ed essere approvato entro il 29 per non decadere.
Barbara Acquaviti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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