«Potremmo non trovare il nostro paziente zero»

Lunedì 24 Febbraio 2020
Cosa si intende per paziente zero?
«La sorgente certa dell'infezione».
E fin qua, tutto bene. Il problema è che il signor (o la signora) X, primo anello della catena di trasmissione del Coronavirus, è attualmente un fantasma. Tutti lo cercano, ma nessuno lo trova. Il che, in termini epidemiologici, è un guaio: la sua identificazione permetterebbe di ricostruire la rete degli ambienti che ha frequentato e delle persone con cui è entrato in contatto, in modo da circoscrivere l'area del contagio e limitarne la diffusione. Spiega il professor Giorgio Palù, docente ordinario all'Università di Padova e già presidente delle Società italiana ed europea di Virologia: «Di fronte a un'epidemia nuova, bisogna misurarne l'impatto come numero di persone infette, spettro di gravità ed appunto trasmissibilità».
A questo proposito, chi bisogna cercare, se si vuole trovare il primo propagatore?
«Occorre ragionare sul modo in cui il virus viene trasmesso. Al riguardo stanno uscendo dei lavori virologici molto interessanti. Per esempio lo studio condotto da Lirong Zou a Guangzhou, pubblicato il 20 febbraio sul New England Journal of Medicine, dimostra che il Sars-CoV-2 presenta concentrazioni simili tanto nei soggetti sintomatici quanto in quelli asintomatici. È facile comprendere che, se il virus può essere trasmesso anche da qualcuno che non manifesta né febbre, né tosse, diventa difficile trovare l'untore».
Sarebbe allora opportuno sottoporre al tampone tutti coloro che arrivano dalla Cina, anche se non sono studenti, come sostengono alcuni?
«No, questa è stupidità scientifica e sanitaria. So che c'è chi lo dice, sento anch'io queste stupidaggini in giro. Ma screenare tutti quelli che passano i nostri confini, è qualcosa di irrealizzabile. Innanzi tutto per effettuare migliaia di tamponi, non avremmo le necessarie risorse, che vanno dedicate piuttosto agli infetti e ai loro contatti, come il Veneto sta facendo a Vo', Schiavonia, Padova, Mira, Venezia. In ogni caso un accertamento a tappeto si è già dimostrato inefficace».
Perché?
«Sempre sul New England, il 19 febbraio sono stati pubblicati i risultati dello studio condotto da Sebastian Hoehl a Francoforte. Su 126 tedeschi tornati da Wuhan, ne sono stati screenati 114. Di quelli con sorveglianza sintomatica negativa, cioè per intenderci privi di febbre e tosse, solo l'1,8% è risultato positivo al Coronavirus. Questo esito prova che un simile sforzo è inutile, adesso che il virus è ormai tra noi».
In che senso?
«Ormai stiamo passando da un fenomeno di importazione dalla Cina, a una diffusione locale in Italia ampia e autoctona. Era già successo ad esempio in Veneto per la West Nile ed è un salto importante che dobbiamo tenere presente. Ancora però non conosciamo le risposte ad alcuni quesiti biologici. Chi è l'untore, appunto? E quanto persiste il virus nelle secrezioni? Forse l'incubazione è più lunga dei 14 giorni che ipotizzavamo».
Dunque il paziente zero del Veneto potrebbe essere già guarito, senza aver mai saputo di essere stato malato?
«Sì, è possibile».
Se non verrà trovato, cosa bisognerà fare?
«Ribadisco: il virus ormai è con noi, gli studi epidemiologici hanno dimostrato che circolava già a novembre. Per questo dobbiamo cercare il più possibile di effettuare diagnosi sui contatti dei malati e nelle aree-focolaio. Inoltre è giusto disporre misure drastiche come quelle annunciate dal ministro Roberto Speranza e dal governatore Luca Zaia, su scuole e mercati, perché è fondamentale ridurre la frequentazione dei luoghi affollati».
Previsioni per il futuro?
«Gli scenari possibili sono due: o il Coronavirus si estingue da solo, com'è stato per la Sars che però ci ha messo un anno a finire i contagi, oppure permane».
Volendo essere ottimisti, come potrebbe sparire?
«Auspichiamo che il virus possa estinguersi perché passa per le vie aeree e sui fenomeni respiratori conta la stagionalità: passato l'inverno, le temperature si alzano. Inoltre potrebbero vincere le misure di quarantena e i cordoni sanitari. Nell'ipotesi opposta, la diffusione prenderebbe piede e diventerebbe pandemica, come fu per l'H1N1 (l'influenza suina, ndr.) nel 2009. Ma in quel caso il virus diventerebbe umano: non sarebbe così grave e potrebbe essere gestito, magari anche con un vaccino e i farmaci attualmente allo studio».
Ha citato l'H1N1: è più letale il Coronavirus o l'influenza?
«La mortalità del Coronavirus si sta riducendo: inizialmente era al 3%, ora è all'1% fuori dalla Cina. Inoltre solo nel 20% dei casi si tratta di infezioni gravi. Per quanto riguarda l'influenza, ora non è più l'H1N1 del 2009, circolano tre tipi di virus che infettano milioni di persone nel mondo. Il tasso è più basso (0,1%, ndr.), chiaro che però i numeri assoluti sono più alti perché i contagiati sono molti di più».
Angela Pederiva
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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