Porti chiusi, Salvini attacca: non c'è premier che tenga E Conte lo gela: coordino io

Sabato 18 Maggio 2019
LA GIORNATA
ROMA Dopo le inchieste, la giustizia, le tasse, la sicurezza, stavolta governo sull'orlo della rottura per la questione migranti, ad una settimana dalle Europee. Matteo Salvini parte all'attacco del premier Giuseppe Conte sulla vicenda della Sea Watch e ribadisce il suo no a qualsiasi apertura dei porti: «Non c'è presidente del Consiglio o ministro Cinquestelle che tenga, in Italia i trafficanti di esseri umani non arrivano più». Gelo di palazzo Chigi, invitando «chi rappresenta le istituzioni» ad abbassare i toni. «Il premier non dà e non ha mai dato ordini. Come previsto dall'articolo 95 della Costituzione dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. E coordina l'attività dei ministri. Di tutti i ministri, nessuno escluso». Una precisazione che in altri momenti sarebbe superflua, ma che ora testimonia lo stato dei rapporti Salvini-Conte, una sorta di preannuncio di sfratto al capo dell'esecutivo da parte del leader leghista.
Immediata la replica anche dell'altro vicepremier Luigi Di Maio: «La sua arroganza ricorda quella di Renzi, di uomini soli al comando ne abbiamo già avuti e non ne sentiamo la mancanza». E ci pensa anche la Difesa, guidata dalla ministra pentastellata Elisabetta Trenta, già da tempo ai ferri corti con il collega del Viminale, a contribuire al dibattito. Ha fatto sapere infatti che il prossimo 2 giugno la tradizionale parata militare ai Fori Imperiali sarà dedicata a un tema assai poco militaresco: «L'inclusione». Un altro dito negli occhi di Salvini, appunto.
PRETESTI
La rabbia di Salvini esplode tra un appuntamento elettorale e l'altro a Milano, ma la nave sembra solo il pretesto che nasconde il vero motivo che rischia di far cadere il governo: lo scontro sul decreto sicurezza bis con il quale il titolare del Viminale punta da un lato a stroncare il lavoro delle Ong in mare, con sanzioni impossibili da sostenere, e dall'altro a modificare il codice della navigazione spogliando il ministero delle infrastrutture delle competenze in materia di «transito e sosta» delle navi nelle acque territoriali. Dal Viminale dicono che «i compiti a casa sono stati fatti» e il testo è inattaccabile dal punto di vista tecnico e normativo, dunque può andare in Consiglio dei ministri lunedì. Ma sono le stesse fonti ad ammettere che il problema è tutto e solo «politico», con i cinquestelle che, appoggiati dal premier, stanno cercando di fare di tutto per rinviare l'esame a dopo le elezioni.
Già di prima mattina Salvini mette le cose in chiaro sulla Sea Watch, prendendosela anche con i magistrati: «Se vogliono indagarmi facciano pure». «Erano prima in acque libiche e poi in acque maltesi, ma mettendo a rischio la vita degli immigrati a bordo vogliono a tutti i costi arrivare in Italia. Questi non sono soccorritori ma scafisti e come tali verranno trattati». Il ministro autorizza però lo sbarco di 18 soggetti «vulnerabili»: 7 bambini, altrettante madri, 3 padri e un migrante con gravi problemi di salute. Una mossa che va letta nell'ottica di non lasciare all'alleato-avversario alcun pretesto per bloccare il decreto. Che però per il momento resta sospeso visto che è lo stesso Conte a dire che il Cdm «non è stato ancora fissato».
DIRITTI FONDAMENTALI
Ma il premier aggiunge anche che, sul tema dei migranti, l'Italia «ha sempre rispettato i diritti fondamentali delle persone e non ha mai consentito che morisse nessuno per nostra iniziativa». Parole che suonano come un'apertura al possibile sbarco e che innescano l'attacco di Salvini. Al quale replicano prima fonti di governo dei 5Stelle, parlando di «imbarazzante schizofrenia politica» visto che per il caso Diciotti al ministro «andava benissimo la gestione collegiale del Governo» e ora invece «sostiene che nessuno deve dargli ordini». E poi Di Maio, con parole ancora più dure. «Il presidente del Consiglio ha tutto il sostegno mio e del governo - dice il vicepremier - non posso commentare la prepotenza e l'arroganza di questo tipo, che ricorda Renzi quando gli chiedevano di far dimettere la Boschi. Una prepotenza che aumenta quando la Lega è in difficoltà con gli scandali di corruzione». Replica a stretto giro di Renzi medesimo: «Sono lieto di essere sempre nei loro pensieri, anche se da italiano preferirei che pensassero alle cose da fare», scrive su Facebook. «Tuttavia ad onor del vero vorrei verbalizzare che per essere come Renzi bisogna aver creato più di un milione di posti di lavoro, abbassato Imu, Irap costo del lavoro e Ires; aumentato salari a dieci milioni di persone con gli 80?; preso un Paese con il Pil a -1.7 e riportato a più 1.7; dato più diritti con le leggi su unioni civili, dopo di noi, terzo settore, autismo, caporalato, cooperazione internazionale; fatto un governo con metà donne; aumentato i fondi per la sanità e l'educazione e diminuito quello per gli interessi, abbassando lo spread. Quando farete questo, sarete liberi di utilizzare l'espressione Sei come Renzi come un insulto».
Ma il leader dei cinquestelle non si ferma qui. «Per la legge dei grandi numeri, se tutti pensano una cosa e c'è un singolo contrario, forse ha torto il singolo. Di uomini soli al comando ne abbiamo già avuti in Italia e non ne sentiamo certo la mancanza».
Diodato Pirone
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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