Pensioni, le tre quote per lasciare l'impiego Fisco a rischio rinvio

Lunedì 25 Ottobre 2021
LA STRATEGIA
ROMA «Non si può parlate di trattativa arenata, ma di certo la partita è molto complessa». Chi lavora al dossier della legge di bilancio non trascorre ore tranquille. Tant'è, che il Consiglio dei ministri chiamato a varare la manovra economica da 23,4 miliardi slitterà a mercoledì pomeriggio o forse a giovedì. E, di conseguenza, si va verso un rinvio a martedì dell'incontro tra Mario Draghi, il ministro dell'Economia Daniele Franco e i sindacati. La cabina di regia di maggioranza invece non ci sarebbe: «Abbiamo già discusso della manovra», dice una fonte vicina al premier, deciso a tirare dritto e a non farsi impantanare in una nuova trattativa politica. I nodi sono quelli, irrisolti, dei giorni scorsi. L'uscita «graduale» da quota 100, come spendere gli 8 miliardi stanziati per tagliare le tasse e i bonus nel settore dell'edilizia. «Siamo in una guerra di posizione», dice un alto esponente di governo. Così, vista la situazione, monta la tentazione di Draghi di dribblare lo scontro, destinando le risorse per sforbiciata fiscale in un fondo ad hoc.
VIA D'USCITA
Per trovare una via di uscita almeno sul fronte previdenziale, al Mef stanno tentando di rastrellare risorse aggiuntive (si arriverebbe comunque a meno di 1 miliardo), in modo da poter individuare delle soluzioni che riescano ad avere l'okay di Matteo Salvini e degli altri soci di maggioranza. Per ora - dopo che è stata bocciata dalla Lega e dai sindacati l'idea di fissare quota 102 per il 2022 (64 anni più 38 di contributi) e 104 per il 2023 (66 anni più 38 di contributi) - si continua a lavorare su «uno schema di mediazione ragionevole», come dice una fonte di governo, che spalma l'uscita da quota 100 in tre anni garantendo (appunto) maggiore gradualità: 102 per il 2022, 103 per il 2023 e 104 per il 2024, con possibile età fissata a 64 anni e aumento del requisito contributivo. E verrà «data attenzione ai lavori usuranti indicati dalla commissione Damiano», dice chi ha parlato con Draghi nelle ultime ore.
Bocciata la proposta di uscita quota 102 sia nell'anno prossimo che nel 2023, la Lega tratta ed esplora un'altra ipotesi. «Si può lavorare a una vera riforma strutturale delle pensioni», spiega Claudio Durigon che per Salvini segue il dossier-previdenza, «con quota 41, che permetterebbe a chi ha 41 anni di contributi e 62 anni di età di andare in pensione. I costi dovrebbero essere pari a quelli preventivati. E per le donne si potrebbero prevedere agevolazioni, tra i 6 mesi e un anno, per ogni figlio». Si vedrà. Difficile che la controproposta leghista possa passare.
Va forse peggio, si diceva, sul fronte del taglio alle tasse. Dopo che Draghi e Franco hanno respinto la richiesta (in primis di Salvini, ma anche di Forza Italia e Italia Viva) di aumentare lo stanziamento destinato al taglio fiscale («Abbiamo indicato 8 miliardi e 8 miliardi resteranno»), il braccio di ferro è su come operare la sforbiciata e a favore di chi. Draghi e Franco, con la sponda di Pd e Leu, vogliono investire il tesoretto interamente sul taglio del cuneo fiscale a favore dei lavoratori. Leghisti, forzisti e renziani invece spingono per aiutare anche le imprese avviando la cancellazione dell'Irap. «E se lo stallo non verrà superato», dicono al Mef, «non è da escludere che alla fine si decida di istituire un fondo dove convogliare gli 8 miliardi e definire successivamente il tipo di intervento. Non è la soluzione preferita, ma se non si riesce ad arrivare a una sintesi non c'è altra strada».
Draghi, insomma, non intende farsi frenare dalla rincorsa dei partiti a piantare bandierine. Vuole assolutamente il via libera alla manovra. L'ipotesi del fondo però non piace ai soci di maggioranza che, in caso di rinvio alla legge delega fiscale, temono di veder slittare l'intervento sulle tasse al 2023. Più realistico ipotizzare che le risorse siano impegnate con un successivo provvedimento (come avvenne ad esempio con l'intervento sul costo del lavoro del 2020), facendo scattare il taglio delle tasse non a gennaio ma dopo qualche mese. Questa soluzione avrebbe il vantaggio di ampliare la portata iniziale dell'intervento, perché gli 8 miliardi servirebbero per un periodo più breve. Ma resta comunque una subordinata rispetto a quella di introdurre le misure direttamente in manovra, magari con un emendamento alle Camere. «Con 23 miliardi di legge di bilancio abbiamo la possibilità di un intervento strutturale sul fisco», dice il renziano Luigi Marattin, «perdere questa occasione, rinviando l'intervento sull'Irpef e sull'Irap o limitandoci a misure spot, sarebbe un errore».
I BONUS EDILIZI
Si tratta in queste ore anche sul destino dei vari bonus edilizi. La richiesta di (quasi) tutti i partiti di mantenere il bonus del 110% nel 2023 anche per le ville e villette unifamiliari è destinata a essere bocciata: «È stato detto no e il no resterà», dice chi segue le trattativa per conto di palazzo Chigi. Si apre invece più di uno spiraglio per confermare il bonus facciate, come richiesto in primis dal Pd. Ma con una percentuale ridotta, tra il 70 e l'80%.
Luca Cifoni
Alberto Gentili
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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