«Non sono ottimista, mi pare evidente che nel giro di 10-20 giorni arriveremo

Sabato 15 Agosto 2020
«Non sono ottimista, mi pare evidente che nel giro di 10-20 giorni arriveremo ad almeno mille casi positivi giornalieri. Quello che non riesce a spiegare è che più i nuovi positivi aumentano, più crescono le possibilità di avere pazienti in terapia intensiva. E di vedere un incremento dei decessi, purtroppo».
Il professor Andrea Crisanti, docente di Microbiologia dell'Università di Padova e protagonista del modello Veneto, da mesi si batte contro chi stava facendo passare il messaggio che è tutto finito, che il virus non esiste più.
«Hanno causato dei danni enormi. Già oggi vediamo aumentare i pazienti in terapia intensiva. Sono ancora numeri sostenibili, ma dobbiamo guardare in prospettiva a ciò che succederà con questo costante incremento dei casi».
Perché secondo lei, rispetto ai 574 nuovi casi positivi, presto andremo a raddoppiare quel dato?
«Purtroppo la dinamica dell'epidemia è ormai chiara, il ritmo di crescita è costante, mi pare improbabile che si riesca a frenare. Certo, come sempre succede avremo un calo domenica e lunedì, con i dati riferiti al fine settimana quando rallenta l'esecuzione dei tamponi, ma la tendenza ormai è questa».
In un giorno però sono stati registrati solo tre decessi.
«Questo dato può risultare ingannevole. Guardiamo a cosa sta succedendo negli Stati Uniti. Semplificando: i morti arrivano sempre dopo. Prima c'è un incremento di infezioni, poi, dopo 20-30 giorni, quello dei decessi. Certo, rispetto a marzo e aprile, il sistema sanitario sa rispondere meglio, ma già oggi vediamo aumentare il numero dei pazienti in terapia intensiva. Per questo sarebbe stato importantissimo tentare di raggiungere il traguardo dei contagi zero, era a portata di mano, abbiamo fallito».
Lei avrebbe chiuso le discoteche?
«Di questa cosa delle discoteche aperte io non mi capacito. Andrebbero chiuse immediatamente, e mi dispiace per gli imprenditori e per chi lavora. Prevediamo degli aiuti economici, per carità, ma la discoteca non deve funzionare. Non solo andrebbero chiuse, ma proprio non dovevano aprire».
Ma davvero quel genere di locale è così pericoloso per la trasmissione del coronavirus, anche all'aperto?
«Sta scherzando? Prima di tutto è molto difficile mantenere il distanziamento sociale. Inoltre, l'attività in una discoteca aumenta la respirazione profonda, le persone si muovono, hanno bisogno di respirare molto di più. Questo facilita le infezioni».
A settembre-ottobre però anche i mezzi di trasporto pubblico, dove difficilmente sarà garantito il distanziamento, rischiamo molto.
«Certo. Dovevamo quest'estate avvicinarci a zero casi. Sarebbe stato possibile. Io non so, per esempio, perché per tempo non abbiamo preso le contromisure per limitare i casi di rientro. Bisognava attivare i controlli prima, predisporre dei protocolli. Se necessario anche chiudere le frontiere».
Cosa ci deve preoccupare?
«Il punto di rottura lo avremo quando i focolai, per dimensioni e per numero, riusciranno a sopraffare la capacità di risposta del sistema sanitario. A quel punto dovrà essere chiaro che le zone, le aree, in cui capiterà questo dovranno essere chiuse immediatamente».
Cosa abbiamo sbagliato?
«Con molta franchezza, a costo di farmi dei nemici: è stato sbagliato non prevedere riaperture graduali, differenti da regione a regione. Inoltre, si è calati le braghe di fronte alle esigenze dell'industria turistica. Bisognava limitare gli spostamenti all'interno dell'Italia, se necessario, ma anche dall'Italia ad altri paesi d'Europa».
M.E.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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