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Nella sua pagina Facebook, l'immunologa Antonella Viola affronta Una domanda al

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Domenica 10 Gennaio 2021
Nella sua pagina Facebook, l'immunologa Antonella Viola affronta Una domanda al
Nella sua pagina Facebook, l'immunologa Antonella Viola affronta Una domanda al giorno. Il quesito di oggi è di quelli da un milione di dollari: quando ne usciremo? Risponde la professoressa ordinaria di Patologia generale all'Università di Padova: «Per ricominciare a vivere con serenità bisognerà almeno vaccinare le persone più a rischio. E questo è un obiettivo raggiungibile entro l'estate. Per raggiungere l'immunità di comunità, invece, servirà molto più tempo».
Nell'attesa, crede che intanto al Veneto basterà la fascia arancione, per tornare a respirare un po'?
«Sì, penso che dovrebbe bastare, perché finora le restrizioni della zona arancione hanno funzionato. Ho dubbi invece sulla classificazione gialla nel resto d'Italia, considerando quello che sta succedendo soprattutto in Germania ma anche più in generale in Europa, il probabile arrivo della terza ondata, le nuove varianti, la stessa lezione del Veneto secondo cui restare sempre in fascia gialla non è il modo giusto per arginare il virus quando sta circolando tanto. Ecco, tenendo conto di tutto questo, ritengo che sarebbe opportuno essere più restrittivi per non dover poi prolungare l'agonia e vedere risalire il numero dei contagi. Quindi in definitiva non c'è il minimo dubbio che l'arancione è il colore giusto per il Veneto e credo che sarebbe giusto estenderlo anche a tutte le altre regioni».
Quanto tempo occorrerà per osservare i primi risultati?
«Due o tre settimane, vediamo cosa succede. Nel frattempo bisognerà anche verificare se arriverà la terza ondata e se riusciremo a bloccarla, nonché valutare l'impatto del Natale e del Capodanno sulla circolazione del virus».
Quale impressione ha avuto del periodo natalizio e delle relative misure?
«Per riscontrarne gli effetti, bisogna sempre calcolare due o tre settimane, a partire dal 24 dicembre. Quello che mi fa pensare, è il fatto che in Veneto ci siano oltre 1.600 focolai attivi, il che indica una distribuzione molto capillare, dovuta a un contagio di tipo familiare. Durante le feste, evidentemente, i pranzi, le cene e gli incontri sono andati avanti nonostante tutto quello che si è detto».
Come si spiega il caso Veneto, con l'impennata di autunno e inverno, secondo un andamento completamente diverso rispetto alla primavera?
«La risposta non ce l'ha veramente nessuno. Possiamo però formulare alcune ipotesi. Innanzi tutto, quando è stato deciso di assegnare i colori alle regioni, il Veneto aveva un livello di circolazione del virus molto alto, tanto che è rimasto in fascia gialla per la tenuta del suo sistema sanitario, non per la sua condizione epidemiologica. È vero che facciamo tanti tamponi e che abbiamo ospedali ben organizzati, ma il virus ha continuato a circolare, perché le misure morbide non funzionano. Su questa condizione di alto rischio potrebbero poi aver agito altre cause. Per esempio la scelta di effettuare i tamponi rapidi anche tra i sanitari potrebbe aver favorito il contagio negli ospedali, ma per dirlo con certezza bisognerebbe fare uno studio finalizzato a calcolarne l'incidenza sul totale. Quanto alle varianti, dubito che quelle individuate in Veneto non si siano estese alle altre regioni».
Anche se le due mutazioni venete, identificate dall'Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie, risultano essere state caratterizzate per la prima volta in Italia?
«Di varianti se ne generano di continuo, ma bisogna vedere se si diffondono e se prendono il sopravvento. Per esempio quella inglese effettivamente sta dominando e anche quella sudafricana è molto diffusa».
Da oggi il Veneto è arancione non per l'Rt, rimasto sotto 1, ma per l'alta incidenza dei contagi ogni 100.000 abitanti, indicatore che assumerà un peso ancora maggiore nelle scelte di sanità pubblica: condivide questa modifica?
«Sì, è assolutamente opportuna. All'interno della comunità scientifica tutti abbiamo chiesto di rivedere i parametri,
perché l'analisi ha dimostrato che con le misure morbide non si piega la curva dei contagi».
Quanto pesa la grande mole di tamponi effettuata dal Veneto nell'individuazione di un così rilevante numero di casi?
«È uno degli elementi, ma non è il solo. I contagi qui sono tanti comunque, come dimostrano l'alta mortalità e gli ospedali strapieni».
Cosa pensa della chiusura delle superiori fino al 31 gennaio?
«Lo studio dell'Istituto superiore di sanità dice chiaramente che la scuola non è un amplificatore del contagio. Nella valutazione del rapporto tra costi e benefìci, credo sarebbe decisamente meglio tenere aperte le scuole con il 50% in presenza, le mascherine e gli orari sfalsati».
Chiudiamo da dov'eravamo partiti: davvero in estate, pur senza immunità di gregge, torneremo a vivere?
«Sono convinta di sì, grazie al clima e al vaccino. Allora avremo immunizzato le persone più anziane e più fragili, quindi il virus circolerà prevalentemente tra i giovani, con meno ricoveri e meno morti».
Si è già vaccinata?
«No, aspetto ancora il mio turno, perché non sono una dipendente del servizio sanitario regionale e non sono un'anziana...».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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