Nella pagina indelebile che Lamont Marcell Jacobs ha scritto allo Stadio Olimpico

Lunedì 2 Agosto 2021
Nella pagina indelebile che Lamont Marcell Jacobs ha scritto allo Stadio Olimpico di Tokyo c'è il contributo, all'apparenza nascosto ma importantissimo, della sua mental coach Nicoletta Romanazzi.
Cosa si prova quando un proprio ragazzo vince una gara irripetibile come i 100 metri piani di un Olimpiade?
«Adrenalina pura! E chi dorme stanotte? Non penso che andrò a letto, domani mi raccoglieranno col cucchiaino E' stato qualcosa di incredibile: io mi emoziono e piango per tutti i miei atleti, ma stavolta è stato speciale».
Perché?
«Perché gli ho visto esprimere alla perfezione il lavoro fatto insieme, ha messo in pratica tutto ciò che ci eravamo detti in questi mesi. Quando ho visto il suo sguardo ai blocchi, mi sono detta: farà benissimo».
Quali sono i punti di forza del carattere di Jacobs?
«Ne ha tanti, innanzitutto è di una generosità fuori dal comune. Poi è buono, è resiliente: sa andare oltre gli ostacoli, rialzarsi in piedi, ripartire e rimettersi in gioco».
Di cosa avete parlato prima dell'ultimo atto?
«L'ho fatto respirare, abbiamo lavorato per recuperare le energie spese in semifinale. Dopodiché l'ho predisposto per essere potentemente ambizioso e focalizzarsi su qualcosa di grande. Ci siamo soffermati sulla centratura, il processo attraverso il quale mente e corpo sono perfettamente allineati: l'atleta rimane dentro' il momento e non si fa distrarre da tutto il resto».
Lo stress di una gara del genere è difficile da sostenere.
«La tensione genera rigidità muscolare, e il corpo segue ciò che ordina la mente. A volte a Marcell si bloccavano le gambe prima delle gare. Era come se avesse un elastico che lo tratteneva da dietro».
A causa delle restrizioni non l'ha potuto seguire in Giappone.
«E ho sofferto tantissimo, non solo per lui ma anche per gli altri miei quattro atleti che sono andati alle Olimpiadi. Uno di loro, il karateka Luigi Busà, mi ha ripetuto per giorni che Marcell avrebbe vinto l'oro. E infatti».
È la mental coach dell'uomo più veloce del mondo: è il top della carriera anche per lei?
«Sì, certo che lo è. Ma ci tengo a dire che non faccio figli e figliastri tra gli sportivi che seguo. Certo, questo oro è una possibilità pazzesca di visibilità per il mental coaching stesso. Dovrebbero insegnarlo a scuola, vivremmo tutti meglio se imparassimo a riconoscere e sfruttare il nostro potenziale accettando le debolezze interiori».
Giacomo Rossetti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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