Nega il massimo dei voti a tutti I sindacati: cacciate la dirigente

Lunedì 1 Marzo 2021
IL CASO
ROMA Lo spot ha successo da decenni: «Perché io valgo». Lo stesso motto sembra essere stato interiorizzato dai dipendenti dell'Ispettorato nazionale del lavoro, una costola del ministero oggi guidato da Andrea Orlando. Nella sede di Rimini ci sono una quarantina di lavoratori pubblici in rivolta contro una dirigente, Raffaella D'Atri. I sindacati sono sul piede di guerra, i comunicati contro di lei sono quotidiani. Ne è stata chiesta la rimozione ai vertici dell'Ispettorato, è stata avanzata una richiesta di attivazione di un procedimento disciplinare (archiviata) e, persino, una segnalazione alla Consigliera per la parità con l'accusa di discriminazione (archiviata anche questa).
La sua colpa? Non aver valutato tutti con il massimo dei voti, 100 su 100. La storia l'ha tirata fuori il sindacato dei dirigenti pubblici Unadis, che sta combattendo una battaglia al fianco della D'Atri per affermare il principio, che potrebbe sembrare banale, che non è detto che in un ufficio pubblico lavorino solo eccellenze. «Vede», dice Raffaella D'Atri, «il dirigente pubblico ha il dovere di valutare il personale e di differenziarlo come previsto dalla legge Brunetta. Ogni amministrazione ha un suo sistema di valutazione. Sta di fatto», prosegue, «che questa abitudine non è scontata. C'è difficoltà a far passare il messaggio della differenziazione, che però per il dirigente pubblico è un obbligo». Insomma, rompere il tabù del 100 politico, non è semplice. Anche quando la differenziazione è minima, come nel caso di Rimini. «Al di là di un solo caso con punteggio semplicemente sufficiente», spiegano da Unadis, «la valutazione più bassa assegnata dalla dottoressa D'Atri, a dimostrazione che non c'era la volontà di penalizzare nessuno ma solo di premiare chi effettivamente ha lavorato meglio, è stata di 95 su 100. Quest'ultimo punteggio, tradotto in termini economici per la famosa retribuzione della produttività legata alla valutazione, significa guadagnare tra i 10 e i 20 euro in meno rispetto al collega che ha preso 100». Diciannove dipendenti hanno chiesto quello che si chiama «il contraddittorio». Si sono cioè presentati, quasi tutti accompagnati da un sindacalista, dalla dirigente per chiedere spiegazioni sulla mancata assegnazione del massimo dei voti. «La differenziazione», spiega D'Atri, «va semplicemente accettata come un obbligo, dovuto all'esigenza dell'amministrazione di far crescere i suoi dipendenti attraverso anche dei percorsi individuali. Proprio perché capivo che sarebbe stata una cosa deflagrante, avevo chiesto negli ultimi anni una maggiore formazione da parte della mia amministrazione su questo argomento. Però c'erano altre priorità». L'amministrazione, dice ancora Barbara Casagrande, segretario generale di Unadis, «tuttavia tace, mentre parte del personale scontento per il giudizio ottenuto e in mancanza di conciliazione si prepara ad andare in appello, ovvero da un altro dirigente che deciderà il da farsi. Nel mentre la dirigente in questione si è dovuta barcamenare fra contraddittori e tentativi di delegittimazione».
Andrea Bassi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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