LA STORIA
ROMA La sentenza è storica: la multinazionale Monsanto risarcirà di 289 milioni di dollari Dewayne Johnson, giardiniere americano malato terminale di cancro che aveva denunciato l'azienda. Il loro erbicida avrebbe contribuito a farlo ammalare di tumore al sistema linfatico, cioè del linfoma non-Hodgkin. Ieri i giudici di San Francisco hanno stabilito che la Monsanto è colpevole di aver agito con «malizia» non indicando i rischi del glifosato sull'etichetta del prodotto RoundUp, confermando che il diserbante ha contribuito «in maniera sostanziale» alla malattia terminale dell'uomo. È la prima volta che viene riconosciuto un legame tra l'utilizzo di glifosato e una diagnosi di cancro. Una presa di posizione che potrebbe fare da apripista alle altre 5.000 denunce simili già presentate negli Usa. La Monsanto, appena acquisita dalla tedesca Bayer, ha già annunciato ricorso, sottolineando come «la decisione non cambi il fatto che più di 800 studi e recensioni scientifiche - ha dichiarato Scott Partridge, vicepresidente della compagnia - sostengano che il glifosato non sia cancerogeno e che quindi non possa essere la causa della malattia di Johnson».
IL DIBATTITO
La vicenda si snoda proprio intorno alla legittimazione scientifica del glifosato. L'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro di Lione (Iarc) lo ha collocato nel gruppo 2A, cioè tra i prodotti probabilmente cancerogeni accanto a DDT, steroidi anabolizzanti, carni rosse e bevande bevute molto calde; altre agenzie e autorità come Efsa, Oms e Fao, pur esprimendo giudizi più rassicuranti, hanno invece previsto misure di cautela, tra cui la valutazione dei residui di glifosato nei cibi e il divieto di utilizzo in aeree densamente popolate. Altre ancora, come ha sottolineato ieri Partridge, difendono l'estraneità del glifosato dal legame con tumori al sistema linfatico. Ma proprio alcune di queste ricerche sono finite al centro dello scandalo dei Monsanto Papers: carteggi secondo cui la multinazionale avrebbe pagato degli esperti per produrre studi favorevoli. Scandali che alla fine del 2017, non hanno impedito alla Ue - grazie al voto tedesco - di consentire l'uso del glifosato per altri 5 anni. Il problema però, riguarda il mondo intero dato che ogni anno si utilizzano circa 2 miliardi di litri di glifosato: come se ogni abitante della Terra ne bevesse un bicchiere da poco più di 20 centilitri. I
«La sentenza Johnson ribadisce la pericolosità di questa sostanza - spiega Rolando Manfredini, responsabile per la sicurezza alimentare di Coldiretti - infatti nella Ue, e soprattutto in Italia, è proibito utilizzarlo in pre-raccolta»; pratica che invece negli Stati Uniti e in Canada è prassi per la coltivazione dei cereali. Per questo «ora alcune aziende italiane non acquistano più grano duro dal Canada» conclude Manfredini. Nonostante l'attenzione delle autorità, anche alcuni prodotti importati nel nostro Paese hanno tracce del pesticida: la soia ogm argentina usata per mangimi ad esempio. Per le coltivazioni nostrane invece, il glifosato è soggetto a un divieto parziale: non può essere utilizzato in pre-raccolto e pre-trebbiatura ma neanche in aree vicine a parchi pubblici e campi sportivi; e non può essere impiegato in associazione con il coformulante ammina di sego polietossilata'. In pratica, come ha sottolineato su Facebook il vice-premier Luigi Di Maio, l'erbicida è presente in commercio: «Dobbiamo combattere l'invasione sul mercato di questa sostanza, una minaccia che si concretizza con mostruosi accordi commerciali sottoscritti solo in nome del profitto». Invece secondo un rapporto dell'Efsa di Luglio 2018, l'Italia è in prima linea nella lotta all'eccessivo uso di agrofarmaci. Dai controlli effettuati su frutta, cereali, olio e altri prodotti, solo lo 0,4% dei campioni superava i limiti massimi ammessi per residui chimici; sui prodotti d'importazione si sale al 3,2%.
Francesco Malfetano
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA ROMA La sentenza è storica: la multinazionale Monsanto risarcirà di 289 milioni di dollari Dewayne Johnson, giardiniere americano malato terminale di cancro che aveva denunciato l'azienda. Il loro erbicida avrebbe contribuito a farlo ammalare di tumore al sistema linfatico, cioè del linfoma non-Hodgkin. Ieri i giudici di San Francisco hanno stabilito che la Monsanto è colpevole di aver agito con «malizia» non indicando i rischi del glifosato sull'etichetta del prodotto RoundUp, confermando che il diserbante ha contribuito «in maniera sostanziale» alla malattia terminale dell'uomo. È la prima volta che viene riconosciuto un legame tra l'utilizzo di glifosato e una diagnosi di cancro. Una presa di posizione che potrebbe fare da apripista alle altre 5.000 denunce simili già presentate negli Usa. La Monsanto, appena acquisita dalla tedesca Bayer, ha già annunciato ricorso, sottolineando come «la decisione non cambi il fatto che più di 800 studi e recensioni scientifiche - ha dichiarato Scott Partridge, vicepresidente della compagnia - sostengano che il glifosato non sia cancerogeno e che quindi non possa essere la causa della malattia di Johnson».
IL DIBATTITO
La vicenda si snoda proprio intorno alla legittimazione scientifica del glifosato. L'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro di Lione (Iarc) lo ha collocato nel gruppo 2A, cioè tra i prodotti probabilmente cancerogeni accanto a DDT, steroidi anabolizzanti, carni rosse e bevande bevute molto calde; altre agenzie e autorità come Efsa, Oms e Fao, pur esprimendo giudizi più rassicuranti, hanno invece previsto misure di cautela, tra cui la valutazione dei residui di glifosato nei cibi e il divieto di utilizzo in aeree densamente popolate. Altre ancora, come ha sottolineato ieri Partridge, difendono l'estraneità del glifosato dal legame con tumori al sistema linfatico. Ma proprio alcune di queste ricerche sono finite al centro dello scandalo dei Monsanto Papers: carteggi secondo cui la multinazionale avrebbe pagato degli esperti per produrre studi favorevoli. Scandali che alla fine del 2017, non hanno impedito alla Ue - grazie al voto tedesco - di consentire l'uso del glifosato per altri 5 anni. Il problema però, riguarda il mondo intero dato che ogni anno si utilizzano circa 2 miliardi di litri di glifosato: come se ogni abitante della Terra ne bevesse un bicchiere da poco più di 20 centilitri. I
«La sentenza Johnson ribadisce la pericolosità di questa sostanza - spiega Rolando Manfredini, responsabile per la sicurezza alimentare di Coldiretti - infatti nella Ue, e soprattutto in Italia, è proibito utilizzarlo in pre-raccolta»; pratica che invece negli Stati Uniti e in Canada è prassi per la coltivazione dei cereali. Per questo «ora alcune aziende italiane non acquistano più grano duro dal Canada» conclude Manfredini. Nonostante l'attenzione delle autorità, anche alcuni prodotti importati nel nostro Paese hanno tracce del pesticida: la soia ogm argentina usata per mangimi ad esempio. Per le coltivazioni nostrane invece, il glifosato è soggetto a un divieto parziale: non può essere utilizzato in pre-raccolto e pre-trebbiatura ma neanche in aree vicine a parchi pubblici e campi sportivi; e non può essere impiegato in associazione con il coformulante ammina di sego polietossilata'. In pratica, come ha sottolineato su Facebook il vice-premier Luigi Di Maio, l'erbicida è presente in commercio: «Dobbiamo combattere l'invasione sul mercato di questa sostanza, una minaccia che si concretizza con mostruosi accordi commerciali sottoscritti solo in nome del profitto». Invece secondo un rapporto dell'Efsa di Luglio 2018, l'Italia è in prima linea nella lotta all'eccessivo uso di agrofarmaci. Dai controlli effettuati su frutta, cereali, olio e altri prodotti, solo lo 0,4% dei campioni superava i limiti massimi ammessi per residui chimici; sui prodotti d'importazione si sale al 3,2%.
Francesco Malfetano
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