Mai una gioia per Matteo Salvini. Ieri ci si è messo perfino Jair Messias Bolsonaro,

Venerdì 5 Novembre 2021
Mai una gioia per Matteo Salvini. Ieri ci si è messo perfino Jair Messias Bolsonaro, pur appena incontrato a Pistoia, fresco di visita ad Anguillara e a Padova. Conversando con un gruppo di sostenitori a Brasilia, il presidente verdeoro è arrivato a storpiarne il cognome e a confonderne la carica: «C'era anche Salvati, credo fosse primo ministro d'Italia e ora senatore». Non è un gran bel momento per il leader federale, a sentire i colonnelli leghisti del Veneto, quando parlano pressoché solo con la garanzia dell'anonimato. Confida uno: «Purtroppo il segretario, dal Papeete in poi, non ne ha più azzeccata una. Per dire: ai gazebo del referendum sulla giustizia, i simpatizzanti venivano a dirci che stanno con Zaia, non certo con Salvini. Dopo il caso Morisi, poi, c'è un problema di credibilità». Rivela un altro: «I moduli per il tesseramento 2021 sono arrivati solo in questi giorni e la scadenza per le iscrizioni è fissata a metà novembre. Ma come si fa? Con i commissariamenti infiniti, la disorganizzazione è totale».
Ci mette la faccia Alberto Villanova, speaker della galassia zaian-leghista in Consiglio regionale, ma per negare spaccature intestine: «Salvini o Giorgetti? No, io sto con la Lega, che è una sola. Che ci sia dibattito all'interno del partito è più che fisiologico, sarebbe strano se non fosse così. Dopodiché è anche vero che vivo nell'ambiente del Veneto e qui siamo distanti da quanto succede a Roma. Oltretutto abbiamo la fortuna di avere un presidente come Zaia che coagula consenso e indirizzo nel territorio. Governisti noi? Il nostro approccio è di far ripartire l'economia e di arginare la pandemia in questo terzo inverno. Le altre questioni, tipo quelle sull'Europa, sono lontane». Ma proprio da Bruxelles arriva, forte e chiara, la voce di un big qual è Gianantonio Da Re, oggi europarlamentare, a lungo segretario nazionale della Liga Veneta, trevigiano ma non scontatamente zaiano.
Nel duello tra Salvini e Giorgetti, da che parte sta?
«Sto con Alberto da Giussano, ormai da 39 anni».
Intende dire che sta con la Lega delle origini?
«Mi sento vicino alla Lega, anzi alla Liga... Battute a parte, credo debba esserci una riflessione da entrambe le parti. La politica va rivista nella collegialità, non certo con l'avanti tutta dell'uomo solo al comando. Serve una bella segreteria politica, dove si prendono le decisioni insieme. Ovviamente un segretario si assume sempre la responsabilità della scelta, ma nella collegialità si sbaglia meno».
La sua è una critica a Salvini?
«La mia è critica ad alcuni passaggi che non ho condiviso. Prima di tutto l'ambiguità sui no-vax, che è stata negativa anche in termini di consenso. In secondo luogo, per quanto riguarda l'Europa, credo che il gruppo dei tedeschi non ci avvicini di sicuro al popolo. Tutto si può rivedere, bisogna sedersi al tavolo e fare un approfondimento sugli obiettivi da raggiungere e sul percorso da intraprendere, solo i mus non cambiano mai idea. Certo che l'Europa potrebbe essere contestata su tanti aspetti, ma in questo momento non si può, perché dobbiamo pensare a come investire le risorse del Recovery Fund. Il terzo punto che non mi piace è lo scollamento dal territorio: bisogna rimettere in moto i congressi e in piedi le circoscrizioni. Ma occorre farlo adesso, prima delle prossime elezioni comunali, perché ormai siamo a novembre e di mezzo c'è Natale».
Cosa pensa comunque dello scontro al vertice?
«Ritengo che non sia tanto sul partito, quanto sulla linea politica da tenere da qua in avanti su pandemia, Europa e territorio. In tempi di crisi, basti solo pensare al costo dell'energia, il popolo vuole certezze, dall'operaio all'imprenditore: noi dobbiamo dargliele. Non so se questo voglia dire essere governisti, ma so che nei momenti difficili, se si è al governo bisogna essere responsabili».
Non teme provvedimenti disciplinari per queste parole?
«Credo di esprimere concetti assolutamente normali. Se le cose non vanno, bisogna dirlo subito, non quando è troppo tardi. Oltretutto so che tanti militanti, contrariati dalle tensioni interne e dalla paralisi dei commissariamenti, la pensano come me».
Angela Pederiva
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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