Mafia, blitz di Italia e Usa contro i nemici di Riina «Erano tornati al potere» `

Giovedì 18 Luglio 2019
Mafia, blitz di Italia e Usa contro i nemici di Riina «Erano tornati al potere» `
L'INCHIESTA
ROMA Quarant'anni di esilio oltreoceano, la fuga dalla Sicilia all'America. Poi, il ritorno a Palermo e a Passo di Rigano, con borse piene di denaro accumulato in decenni di traffici e investimenti illegali. I vecchi padrini di Cosa nostra, gli scappati dalla guerra di mafia degli anni Ottanta, si erano ripresi il loro quartier generale anche grazie all'appoggio di chi, obbedendo a Totò Riina, li aveva costretti a fuggire. «A noialtri il polso non ce lo deve toccare nessuno, neanche se viene il Papa dall'America. Non ci passo più...» diceva intercettato Tommaso Inzerillo, cugino del boss Totuccio, ucciso dal padrino corleonese. Dopo essere stato cacciato dall'America, era stato nuovamente arrestato in Italia. Scontata la pena, era tornato alla guida del mandamento di Passo di Rigano. Ieri, è finito di nuovo in manette, insieme ad altri 18 tra vertici e gregari del clan, nell'ambito dell'inchiesta «New Connection» della Dda di Palermo e dell'Fbi, condotta dalla Squadra mobile.
LE ALLEANZE
Un'indagine che ha permesso di tratteggiare le alleanze tra gli Inzerillo e un altro storico clan: i Gambino di New York. Tra gli arrestati, anche il cugino di Inzerillo, Francesco. A Passo di Rigano era rispettato: in tanti gli chiedevano aiuto e consigli. «Rispetto di più a te che tanti professori che si sentono e sono uno più fango dell'altro, con tutta la laurea che hanno...», gli diceva un medico che aveva un problema giudiziario. «Ci corteggiano tutti a noialtri», commentava un altro indagato. All'alba di ieri è finito in manette anche Salvatore Gambino, sindaco di Torretta, un piccolo paese alle porte di Palermo, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Mentre negli Usa sono scattate decine di perquisizioni. Agli atti ci sono pizzini, conversazioni telefoniche e ambientali, captate con le cimici piazzate sulle auto degli appartenenti al clan. Gli indagati sono accusati, a seconda delle posizioni, di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, trasferimento fraudolento di valori, concorrenza sleale aggravata dal metodo mafioso. Sono anche stati sequestrati beni per 3 milioni di euro.
IL SUMMIT
Gli indagati avevano anche organizzavano nel 2018 un summit su un gommone per ricostituire la Commissione provinciale di Cosa nostra. Inzerillo aveva mandato un suo uomo, Giovanni Buscemi, anche lui arrestato. Gli scappati avevano ripreso potere: in America avevano creato un impero, un cartello internazionale organizzato con il supporto di Simone e Calogero Zito, anche loro sono in carcere. Erano stati proprio loro a sponsorizzare Gambino, poi eletto sindaco. Per il gip il primo cittadino - sospeso dal Prefetto - aveva un «rapporto simbiotico con gli Zito nelle scelte relative alle alleanze, alle tattiche politiche, ai soggetti da inserire in lista quali candidati alla carica di consigliere comunale».
Il ritorno a Palermo degli Inzerillo non era benvisto da tutti. «Nel momento che noi ci addormentiamo a sonno pieno può essere pure che non ci risvegliamo più! Non è finito niente, questi i morti li hanno sempre per davanti», diceva il boss Nino Rotolo. Ma «la crisi seguita alle indagini degli anni 90, che hanno condotto all'arresto dei capifamiglia della Commissione di Palermo - scrive il gip nell'ordinanza - aveva portato l'associazione ad aprirsi all'apporto di chi aveva perso». Il gip sottolinea che «sulla permanenza a Palermo di Inzerillo c'erano distinti schieramenti». Da una parte, quello capeggiato da Antonino Rotolo, capomandamento di Pagliarelli, che si opponeva. Dall'altra parte, vari soggetti, tra i quali Salvatore Lo Piccolo. E, al centro, Bernardo Provenzano. Il boss, «consapevole del rischio di una nuova guerra di mafia, aveva optato per una tattica dilatoria, veicolando missive ambigue», scrive il gip.
IL PIZZINO
Proprio a lui si rivolge Lo Piccolo in un pizzino del 19 giugno 2005: «Siamo quasi tutti rovinati, i pentiti che ci hanno consumato girano indisturbati». Cosa nostra era in crisi perché mancavano persone da arruolare, e Lo Piccolo aveva chiesto di acconsentire al ritorno degli Inzerillo, assicurando che non sarebbero usciti «fuori dal seminato». E così, nei primi anni Duemila gli «scappati» erano rientrati e avevano ripreso potere. «Ora noi siamo diventati i re di Palermo», dice Tommaso Inzerillo commentando un articolo che raccontava di vicende giudiziarie che li coinvolgevano. Nelle intercettazioni si parla anche del giudice Giovanni Falcone. «A chi li abbiamo mai appesi i nostri morti? In quale balcone?», dice Giuseppina Spatola, sorella del mafioso Giuseppe Spatola, commentando la richiesta di affiggere i lenzuoli al balcone in occasione dell'anniversario della strage di Capaci. Le lenzuola non erano state appese.
Michela Allegri
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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