Ma cacicchi dem più attivi che mai E Renzi si prepara per le primarie 2021

Domenica 14 Luglio 2019
IL RETROSCENA
ROMA Al grido di «basta con le correnti, sciogliamole», tutte le componenti del Pd si sono date appuntamento per convegni, seminari, incontri. La corrente più corposa delle minoranze, Base riformista, ha finanche rinverdito i fasti della Dc che fu, dandosi appuntamento in quel di Montecatini dove erano soliti riunirsi quelli del Grande centro doroteo. Unica differenza: quelli dc erano convegni termali autunnali, qui sono canicolari.
E' tutto un pullulare di summit correntizi. Hanno cominciato i seguaci di Maurizio Martina, l'ex segretario di transizione, con un appuntamento a Marzabotto. A seguire, è toccato ai turbo renziani di Giachetti, Nobili e Ascani riuniti nella quiete francescana di Assisi. L'8 è toccato ai giovani turchi di Orfini, gli unici a riunirsi a porte chiuse nella Capitale. L'altro giorno, ai primi freschi del ponentino, Maria Elena Boschi ha dato appuntamento ai suoi e ai giornalisti sulle rive del Tevere, e da lì ha mosso alcune velate critiche a Zingaretti («ci vorrebbe più iniziativa, sembriamo stanchi e rinunciatari»), confermando comunque che i renziani intendono rimanere nel partito. E poi ci sono gli innumerevoli convegni di Libertà eguale, la corrente animata dai prof Ceccanti e Ichino; e poi ancora il convegnone sull'economia green promosso da Realacci, che da quando si è staccato da Renzi ha fatto diventare tema di programma centrale del Pd l'ambiantalismo e la green economy. Gli altri renziani, i moderati di Base riformista, hanno discusso e dibattuto alla loro tre giorni di Montecatini, ma l'appuntamento più atteso era il 12 a Milano, quando Matteo Renzi ha riunito i suoi comitati civici e ha lanciato la sfida. Tanto attivismo per che cosa? Grandi manovre interne al Pd per arrivare dove?
PROVE DI PARTENOGENESI
Aleggia e continua ad aleggiare il tema della formazione di un nuovo partito alla destra del Pd, o meglio al centro, guidato da Renzi che poi dovrebbe allearsi con il medesimo Pd alle elezioni. Già qui ci sono due scuole di pensiero (e di azione): una vorrebbe che sia Carlo Calenda a farsi promotore dell'iniziativa, ma d'intesa con Nicola Zingaretti, auspice e mallevadore Paolo Gentiloni, una sorta di scissione consensuale o per partenogenesi, come è stata ribattezzata da chi non la vede positivamente, «non esistono scissioni a tavolino, se te ne vai e fondi qualcos'altro lo fai perché hai un dissenso forte su questioni di fondo», spiegano i presunti interessati. La seconda versione è quella di chi, già da tempo, ha invitato i renziani a fare fagotto e ad andarsene «perché non sono di sinistra e sono un gruppo chiuso che fa riferimento solo a se stesso», tesi che aveva fatto capolino dalle parti di alcuni sostenitori di Zingaretti e che continua a circolare tra ex diessini della Ditta. L'appuntamento autunnale della Leopolda, quest'anno alla decima edizione, viene indicato come la data possibile per questa dipartita politica non consensuale. Come stanno le cose?
Quando sembrava che il quadro governativo stesse per crollare per precipitare alle urne, la possibilità di una scisssione era considerata più a portata di mano (c'erano le liste elettorali da compilare...); ma adesso che la scadenza appare rimandata come minimo alla primavera prossima, il quadro dentro il Pd è cambiato: Zingaretti si sta dando da fare per riacquistare consensi perduti, ha cambiato strategia dall'iniziale «vogliamo votare subito» ha cominciato a girare l'Italia per tornare in sintonia con pezzi di Paese che hanno voltato le spalle al Pd. E anche i possibili scissionisti hanno cambiato impostazione e prospettive, se non c'è scivolamento immediato alle urne, c'è più tempo per vedere il da farsi. Spiega Ettore Rosato, il coordinatore dei comitati civici renziani: «Fare un partitino non interessa a nessuno. Fare una cosa seria, un'operazione tipo Monti a due cifre, quella è un'altra cosa, non vuol dire che ci puntiamo, lo dico per far capire il senso. Se operazione ha da essere, vuol dire che riesce a intercettare qualcosa che nel Paese c'è, e che quindi rimette in moto tutto il quadro politico, rimescola le carte».
MODELLO RED
Da quel che si è capito, Renzi non punta ad alcuna scissione né distacco. Userà i comitati civici come arma di pressione interna, sulla falsariga della Red dalemiana, per poi puntare alle primarie dem, fra due anni, ritentando la scalata al partito. In mezzo, c'è da aspettarsi la guerriglia interna, con i passaggi delle regionali dell'anno prossimo, dove se oltre a Umbria, Puglia e Campania, il Pd dovesse perdere anche l'Emilia, c'è già chi è pronto a chiedere il congresso anticipato (il renzianissimo Marattin). A un nuovo centro non credono né Gentiloni né D'Alema: in un colloquio di alcune settimane fa, i due hanno convenuto che non c'è spazio per formazioni tipo nuove Margherite (Gentiloni), mentre per D'Alema «il centro c'è già ed è il Pd, è a sinistra che bisogna guardare».
N.B.M.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci