LO SCENARIO
ROMA Prima la lettura dei giornali in cui Matteo Salvini l'accusava

Martedì 16 Luglio 2019
LO SCENARIO
ROMA Prima la lettura dei giornali in cui Matteo Salvini l'accusava di averlo colpito alla schiena sul Russiagate, poi il vertice al Viminale con il vicepremier leghista impegnato a rubargli il lavoro e a scrivere la manovra economica assieme alle parti sociali, infine la presenza di Armando Siri seduto accanto al leader leghista. «Troppo», per Giuseppe Conte. «Si sta superando ciò che era già inaccettabile...», sibila il Presidente del Consiglio con i suoi collaboratori, «ciò che avevo già definito una sgrammaticatura istituzionale, ora diventa una scorrettezza inammissibile. Non può essere Salvini a dettare i tempi e i contenuti della legge di bilancio. Questo compito spetta a me, tocca per legge al premier. Mica posso leggere sui giornali i contenuti della manovra...».
Così poco prima di pranzo, accompagnato dallo staff comunicazione, il presidente del Consiglio esce da palazzo Chigi per regolare i conti. E in pochi minuti sferra un attacco su due fronti. Il primo è quello sui presunti finanziamenti russi alla Lega, il secondo è la legge di bilancio cucinata al Viminale con ben 43 associazioni di categoria.
Sul Russiagate, Conte parla di «trasparenza necessaria». Spiega di aver «avvertito per tempo» Salvini della sua precisazione relativa all'invito a Gianluca Savoini, da parte del consigliere del vicepremier leghista Claudio D'Amico: «Dunque nessuna slealtà, nessuna scorrettezza. Casomai è scorretto Salvini ad avermi accusato», confida. E aggiunge: «Sul caso dei presunti rubli non si può far finta di nulla e io non potevo essere complice di Salvini nascondendo che era stato un suo stretto collaboratore a chiedere l'invito di Savoini alla cena di Villa Madama». Poi, erga omnes, davanti alle telecamere, il premier dà una ditata negli occhi al leader leghista: «La nostra linea guida è la fedeltà all'interesse nazionale e l'assoluta trasparenza nei confronti dei cittadini. Per questo credo che Salvini debba riferire alle Camere». Ipotesi neppure presa in considerazione dal vicepremier del Carroccio.
Per certi versi l'irritazione di Conte è ancora maggiore sul dossier della legge di bilancio. Per il presidente del Consiglio, la mossa di Salvini di riunire al Viminale le associazioni di categoria per discutere della manovra economica «è una grave scorrettezza istituzionale». Grave quanto la presenza dell'ex sottosegretario Armando Siri che il premier aveva fatto dimettere a inizio maggio, in quanto coinvolto in un'inchiesta sull'eolico che ha coinvolto Paolo Arata. «E lo è ancor di più», aggiungono a palazzo Chigi, «perché dal 28 giugno abbiamo chiesto a Salvini di indicare i nomi dei rappresentanti leghisti al tavolo convocato dal premier per discutere della manovra economica, ma non l'ha ancora fatto. Eppure, ci accusa di non fare abbastanza in fretta. Assurdo: in realtà è Salvini a sabotare e a frenare il confronto sulla legge di bilancio e dunque sulla riforma fiscale».
Una situazione «surreale» per Conte. Il presidente del Consiglio confida di non poter più «sopportare invasioni di campo», o di essere «espropriato» delle sue competenze. Così davanti alle telecamere afferma che deve essere lui (e non Salvini) a fare la manovra economica e a dettarne i tempi «insieme al ministro dell'Economia». «E non altri».
Quella di Conte è pero una rabbia impotente. Al pari di Luigi Di Maio, il premier non ha alcuna intenzione di innescare la crisi di governo. Le prove sono due. La prima: l'allarme notturno, quando ha letto dell'accusa di slealtà avanzata da Salvini e la corsa a farsi rassicurare dal diretto interessato. La seconda: la convocazione per venerdì il tavolo sulla riforma dell'autonomia, oltrea a Di Maio che è corso a dire che la «flat tax si deve fare anche prima di settembre». Del resto sia Conte che il vicepremier grillino sanno che «sono proprio questi i temi su cui Salvini può rompere».
Insomma, il solito Vietnam giallo-verde. Accuse, insulti, filo che sta per spezzarsi. Ma poi tutti che corrono a ricucirlo. Con l'aggravante, ieri, di una nuova sortita del pasdaran Alessandro Di Battista e proprio sul fronte che più irrita Salvini: «Sulla Russai è un bugiardo, la sua difesa è ridicola». E l'assalto del grillino itinerante non è passato inosservato a via Bellerio: «L'ulteriore prova che nel Movimento c'è chi lavora per mandare tutto all'aria».
LA CRISI DI NERVI
Di certo c'è che il vertice economico al Viminale, forse con l'aggravante della ricomparsa sulla scena di Di Battista, ha fatto saltare i nervi a Di Maio. Il ministro del Lavoro e dello Sviluppo ha colto come pretesto la presenza di Siri al tavolo leghista sulla legge di bilancio per lanciarsi in una delle sue intemerate: «I sindacati vogliono trattare con un indagato per corruzione messo fuori dal governo, invece che con il governo? Ora si capisce perché alcuni sindacati sono contro la nostra proposta di salario minimo, quando abbiamo milioni di lavoratori sfruttati e sottopagati. Hanno fatto una scelta di campo, la facciamo pure noi». Come dire: il ministro del Lavoro non parlerà più con i rappresentanti dei lavoratori. Stranezze giallo-verdi.
A.Gen.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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