Le intercettazioni: «Uno come te è da tagliare a pezzi con un legno»

Giovedì 16 Luglio 2020
LE CARTE
VENEZIA Come funziona nel mondo della cosca della Piana di Gioia Tauro ormai di casa nel sud della provincia di Verona da 39 anni, lo dicono le miriadi di intercettazioni riportate nelle 273 di ordinanza di custodia cautelare, con il gip Francesca Zancan riannodare i fili di una vicenda infinita. E non ancora chiusa. Tra i casi che diventano un esempio di quel sottobosco illegale, la storia di un imprenditore «che si è intenzionalmente rivolto a soggetti dal chiaro profilo criminale al fine dì ottenere protezione perché vittima di intimidazioni da parte di altri criminali». Stanco di venire stritolato dal meccanismo da lui stesso avviato, dirà ai carabinieri: «non ho denunciato tutti gli episodi di cui mi ritengo vittima in quanto temevo le reazioni di questi soggetti, che sospetto essere appartenenti alla criminalità organizzata calabrese. Posso sostenere quanto affermo innanzitutto per le modalità in cui si sono presentati nel mio ufficio, e che hanno in me generato forti timori per la mia incolumità e dei miei familiari».
Un esempio che fa dire al gip Zancan, sposando la tesi del pm antimafia Patrizia Ciccarese, come «esiste un'associazione di stampo mafioso di matrice ndranghetista radicata nel territorio veneto, operante in particolare nel veronese, autonoma rispetto all'organizzazione stanziale in Calabria da cui si è gemmata ma ad essa collegata, capace di porre in essere numerose attività criminali in diversi ambiti: armi, estorsioni, usura, furti, stupefacenti, riciclaggio con le modalità tipiche del metodo mafioso, e al contempo capace di ingenerare nel territorio veneto assoggettamento e omertà». Vittime sono «spesso imprenditori che si sono intenzionalmente e consapevolmente rivolti a soggetti dal chiaro profilo criminale al fine di ottenere benefici e utilità grazie alla collaborazione con essi» tanto che «in tutti i casi non si è registrata una spontanea collaborazione».
Certa di un'omertà indistruttibile, la cosca Gerace-Napoli-Albanese-Versace, fa ciò che vuole. Come quando c'è da commissionare un pestaggio per conto di un terzo, pestaggio che poi avverrà: «avrebbe bisogno di un piacere un mio amico ... di quelli grossi... c'è uno che continua a rubare dappertutto, attrezzi ieri sera gli ha dato fuoco al capannone. Vuole farlo fuori o sistemarlo...». Ucciderlo «non si può - replica Agostino Napolo - fargli male sì... ma sistemarlo per bene sì ... si potrebbe andare a prenderlo quello sì ... basta che ... prenderlo dargli una bella sistemata sì ... fargli male, fargli capire che là non bisogna più che ci va».
È poi a Giuseppe Versace che viene chiesto da una persona che ha un debito con lui: «e te coppi uno per 50 euro?». E lui risponde: «a uno come te anche per 10 euro (...) perché tu sei uno da tagliare a pezzi ... noooo da lavorarci assieme». Non contento, continua: «Perché non sono mai venuto con un legno a farti a pezzetti... Allora ti approfitti perché non vedi uno che arriva a spaccarti il cranio» fin quando la vittima dell'estorsione ammette: «lo so che sei capace di farlo». Ma c'è stato anche chi ha provato a non chinare il capo, come un ex lavoratore alle dipendenze di Antonio Albanese: licenziato senza ricevere Tfr e contributi si era rivolto a un consulente del lavoro e aveva denunciato tutto alla Direzione territoriale del Lavoro che era costata il fermo amministrativo di due furgoni dell'azienda di Albanese. «Se io vado lì - dice Albanese al telefono - gli faccio male alla sua famiglia invece. lo oggi vado lì e gli faccio male alla sua famiglia (omissis) lui è un bastardo ma io sono più bastardo di lui ...io gli prendo i figli e me li porto via con me. O va a ritirare la sua denuncia con l'avvocato o io vado a casa sia entro dentro casa sua ... alla sua famiglia ... non a lui ... lui non mi interessa».
Altro esempio? Ecco che succede a chi sgarra: «gli devo sparare due colpi nelle ginocchia ... deve camminare con le stampelle».
N. Mun.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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