LE CONSEGUENZE
Ambasciate, voli diretti, accordi per la sicurezza e l'assistenza

Venerdì 14 Agosto 2020
LE CONSEGUENZE
Ambasciate, voli diretti, accordi per la sicurezza e l'assistenza sanitaria, investimenti, flussi di turismo degli emiratini in Israele e degli israeliani negli Emirati arabi uniti. E poi scambi culturali e tecnologici, tra aziende e Università. Il tutto tra due Paesi che nelle parole di Netanyahu hanno in comune il fatto di essere «i più innovativi del Medio Oriente». Israele e Eau hanno «trasformato il deserto». Poteva non scoccare prima o poi la pace tra mediorientali così diversi, ebrei e islamici, però con la medesima volontà di plasmare il territorio per renderlo sempre più abitabile, sempre più prospero? La pace significa questo, ed è storica perché gli Emirati sono il terzo Paese arabo a stringerla con Israele, a dispetto dell'irrisolta questione palestinese. Il punto qual è: lo spiega bene il presidente dell'Ispi ed ex segretario generale della Farnesina, Giampiero Massolo: «Il Medio Oriente di oggi non è più quello che tradizionalmente eravamo indotti a considerare. Con l'amministrazione Trump la priorità non è più il conflitto israelo-palestinese, ma il contenimento dell'Iran. Questo accordo comporta un riallineamento importante delle alleanze che vedono Israele, l'Arabia Saudita e alcuni Paesi del Golfo rispondere a una filosofia dell'assetto regionale in chiave anti-Teheran». Ormai circola tra le capitali del Medio Oriente una sorta di fatigue, di stanchezza nel constatare che da decenni non si riesce a fare passi avanti, la questione palestinese è diventata più una petizione di principio che un'autentica priorità o un obiettivo reale, al punto che si pensa di «poterla risolvere solo attraverso un ambizioso piano economico-finanziario», spiega Massolo.
LA CONTROPARTITA
Sì, certo, Trump ha annunciato l'accordo esaltando la contropartita israeliana della sospensione del piano di annessioni in Cisgiordania, elemento mediaticamente irrinunciabile anche per il principe ereditario degli Emirati, Mohammed Bin Zayad. Ma che specularmente assume tutt'altro significato nell'interpretazione di Netanyahu. Il premier israeliano non rinuncia affatto al traguardo delle annessioni, limitandosi alla sospensione in una fase in cui sarebbe stato politicamente arduo portarle avanti. «Per nessuno questo è il momento di esasperare le tensioni», dice Massolo. «Israele è alle prese con un'ondata di Covid-19 impressionante, con la disoccupazione e l'insoddisfazione verso il governo». Nel risiko mediorientale conta di più, per l'asse sunnita con Usa e Israele, cementare il fronte anti-Teheran. La normalizzazione dei rapporti con Abu Dhabi va in questa direzione. L'Iran controlla parte della maggioranza di governo (seppur dimissionario) in Libano, al confine con Israele, e da anni i suoi generali sfilano in Siria sotto gli occhi degli israeliani appostati sul Golan. Ecco perché era necessario un roll back, un ripiegamento di Teheran, da perseguire anche con alleanze strategiche come quella annunciata ieri. Peraltro, lo stesso Iran soffre del basso prezzo del petrolio e dell'embargo americano oltre che, ancora, dell'uccisione di una figura apicale del regime come Qasem Soleimani, il comandante delle guardie della Rivoluzione. C'è poi, collegato col patto di ieri, il capitolo economico. Un ulteriore consolidamento delle politiche energetiche di Israele passa anche attraverso alleanze con Paesi arabi ed europei come l'Egitto, che non a caso plaude all'accordo, Cipro e Grecia. Per Massolo, tuttavia, la pace israelo-emiratina non porterà «un particolare riequilibrio su questo fronte». Molti affari, certo, che peraltro informalmente erano già cospicui tra Israele e i Paesi del Golfo. Ma soprattutto un più solido assetto geo-politico anti-Iran sotto l'ombrello degli Stati Uniti.
Marco Ventura
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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