LE CARTE
VENEZIA Verona? Una succursale di Isola di Capo Rizzuto, in Calabria.

Venerdì 5 Giugno 2020
LE CARTE
VENEZIA Verona? Una succursale di Isola di Capo Rizzuto, in Calabria. La ndrangheta infatti è saldamente insediata nel veronese, e non solo, dai primi anni 90. Lo testimonia l'inchiesta della Polizia che si è conclusa ieri con 58 indagati, di cui 17 in carcere e 6 agli arresti domiciliari. Tra questi ben 15 veronesi e 12 componenti della famiglia Giardino, esponenti di spicco della cosca Arena-Nicoscia. Ma nel mazzo c'è anche un esponente della famiglia Lo Prete, con interessi a Eraclea.
I TENTACOLI
I tentacoli della ndrangheta, l'organizzazione criminale più feroce e più ricca che sia mai esistita si stima fatturi ogni anno tra i 50 e i 100 miliardi di euro solo con lo spaccio di cocaina - erano ormai arrivati ad insediarsi direttamente nei centri nevralgici del potere amministrativo di Verona. Del resto secondo l'accusa gli interessi malavitosi spaziavano su tutto l'orizzonte del malaffare, dallo spaccio di droga alle estorsioni, dal riciclaggio al traffico illecito di rifiuti, dall'emissione di fatture false alla detenzione di armi. Senza dimenticare truffe e corruzione. A libro paga imprenditori insospettabili e ancora più insospettabili commercialisti ed un vicedirettore di Banca. Insomma la cosca Arena-Nicoscia, sotto la guida di Antonio Giardino detto Totareddu o anche il grande, dai primi anni 90 a Verona la faceva da padrona, riuscendo ad infiltrarsi nella pubblica amministrazione attraverso l'Azienda municipalizzata del Comune di Verona e corrompendone il presidente e il direttore. Del resto il traffico di rifiuti era uno dei business importanti della cosca, che utilizzava imprenditori locali per individuare i capannoni ce ne sono 11 mila in Veneto, tutti vuoti da utilizzare per trasformarli in discariche abusive. La cosca della ndrangheta era talmente ben inserita nella società veronese che aveva addirittura l'avvocato ovvero Nicola Toffanin originario di Occhiobello, ma residente a Verona, che si occupava delle relazioni istituzionali.
Ma la cosca ndranghetista non faceva affari solo con Amia, utilizzando il Centro Studi Enrico Fermi per vincere appalti relativi a corsi di aggiornamento o antincendio più o meno fantasma, in realtà gestiva sale giochi e incassava il pizzo su decine e decine di attività lecite.
L'inchiesta della Dda di Venezia, che promette ulteriori sviluppi, è iniziata in modo del tutto imprevedibile grazie al ricovero in ospedale del capo della locale cioè della cosca che, pur rispondendo alla gang di Isola di Capo Rizzuto, aveva una sua autonomia nella gestione degli affari in Veneto. Il boss Antonio Giardino in ospedale parlava apertamente dei suoi affari criminali e poi la polizia ha trovato mille riscontri grazie a tre pentiti, Angelo Salvatore Cortese, Antonio Valerio, Giuseppe Giglio e Salvatore Muto.
I CORSI ANTINCENDIO
Tra i vari affari che la cosca ndrina cercava di fare propri anche quelli legati ai corsi di formazione antincendio. Di cui uno, ovviamente, all'interno di Amia. Sono ancora le intercettazioni riportate dal gip nell'ordinanza di custodia cautelare a fornire spunti e accuse. Il 3 maggio 2018 Nicola Toffanin, uomo cardine della cosca, incontra il presidente di Aima, Andrea Miglioranzi, per consegnargli 3 mila euro. Lo scambio avviene e al rientro in macchina, Toffanin, parlando con la moglie, e non sapendo di essere ascoltato, svela ogni retroscena: «è contento - dice Toffanin, riferendosi a Miglioranzi - gli ho dato 3 mila euro, gli ho detto che ha da sistemare la sua fidanzata... Eh non conta un c...o lui, poi specialmente adesso che deve andare via (era in scadenza di mandato nel 2018, ndr). Se infila le sue persone è meglio, no? E infila quelli che ha più vicino, non è che va ad infilare ... e una volta che ha fatto l'assunzione, è finita! Adesso lunedì vuole parlare il direttore (Cozzolotto, ndr) Adesso l'abbiamo... compromesso... Ha i suoi soldi eh... si chiama concussione aggravata quella eh... dai 2 ai 6 anni... con la Legge Severino non può neanche più candidarsi». Per il gip, il riferimento alla Legge Severino «lascia pochi spazi a dubbi su quale contenuto abbia avuto questo incontro e quale fosse la caratura delle persone coinvolte».
La conversazione, scrive il giudice, tra Toffanin e la moglie continua specificando che il loro vero obiettivo non è Miglioranzi «quanto il direttore con il quale voglio proseguire un lucroso affare che secondo loro porterà alla consegna di 16mila euro in quattro tranche».
Ancora Toffanin: «È un'offerta politica, adesso lui diventerà vicepresidente di un'altra società metteranno...però noi abbiamo il direttore lì! Infatti lunedì andiamo fuori con il direttore che lo blindiamo». Eccole allora le quattro tranche ciascuna da 4 mila euro.
LE FATTURE AD AMIA
Sono ancora le intercettazioni a spiegare come procedere con le fatture rilasciate da Amia. Ed è ancora Toffanin a disegnare la tela: «Lui non aspetta mica il pagamento, lui va in banca, le versa in banca, la banca chiama Amia e dice riconoscete questa fattura come vostra?, sì, ok grazie e gli dà i soldi anticipati...poi una cosa come la municipalizzata, sai come pagano? Noi i soldi dovremmo prenderli nel giro di un mese. Ed è una cosa che gestiamo noi».
Ecco poi i corsi di formazione antincendio aggiudicati dal Centro Studi Enrico Fermi per conto, appunto, di Amia. Per essere certi che la patina di ufficialità non venga scalfita, Toffanin torna a bussare alla porta di Miglioranzi per capire se i corsi si debbano fare sul serio. La risposta «è che qualcosa bisogna pur fare».
C'è, poi, il versante dei rifiuti con Toffanin che si dimena in lungo e in largo per cercare un magazzino nel Veronese dove poter stoccare i rifiuti. Il gip lo definisce, in favore della cosca, «un affare sicuro» visto il fatto che i rifiuti vengono prodotti. Toffanin ipotizza di trasferirne quantità ingenti: «settecento camion se lavori bene, seicento e cinquanta messi a c...o». Rifiuti, scrive il gip, «che chi opera in conformità alla legge non vuole ricevere e non vuole stoccare. Tanto da ipotizzare di arrivare ad accordi direttamente con i vertici di Amia, e trarne anche lì un vantaggio di 100 euro a camion, da spartire tra i sodali».
Ma il giro di denaro riguardava anche miriadi di false fatturazioni messe in atto da Pasquale Durante attraverso due cartiere, la Durpas di Pasquale Durante e la Edil 2.S di Silvano Sartori. È, quest'ultimo, un pensionato e testa di legno di Durante a cui sono intestati 32 conti correnti. Le due società sono altrettante scatole vuote prive di dipendenti il cui unico scopo era quello di emettere false fatture a favore di imprenditori a cui serve far figurare ricavi inferiori o compensare l'Iva.
DI PADRE IN FIGLIO
In una intercettazioine del 5 aprile 2018 Nicola Toffanin, oltre ad evidenziare il progetto di iniziare il figlio Filippo alle pratiche ndranghetiste, con le sue stesse parole, fornisce anche un'interpretazione autentica del suo modo di declinare l'azione criminale, come capo di un'organizzazione adusa alla violenza, nell'ambito della quale, avendo raggiunto posizioni di un certo rilievo, non è nemmeno più lui a sporcarsi le mani. Nicola: «Ma il responsabile sono io non loro... loro lo fanno materialmente, ma sono io che li carico psicologicamente... gli creo un obbiettivo, cioè è perché un discorso psicologico dietro... nella zona grigia... la zona bianca... allora, se riuscissero a dimostrare che io ho rapporti con Tosi o con il Presidente dell'Amia... divento, diventano soggetti a me, secondo la teoria ... corruzione criminale con esponenti della Malavita Organizzata che sarei io, perché invece non perché vero, però se uno guarda i miei precedenti ... figurati non vedono altro a Verona per fare una cosa del genere». Filippo chiede: «Però persone magari come Arber, se sanno che giri, se sanno, no che giri però...». La risposta di Nicola Toffanin è decisa: «Io non salgo in giro con Arber, Arber fa il buttafuori e io ho un'agenzia di sicurezza lavora per me... lui lo posso utilizzare per far massacrare uno ma non ho mica bisogno di prendere Arber... ci sono persone che non sono conosciute e sono più pericolose di lui!».
(A cura di Maurizio Crema, Maurizio Dianese
e Nicola Munaro)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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