Le bombe sugli iraniani e il dossier contro Riad: la via di Biden al dialogo

Sabato 27 Febbraio 2021
Le bombe sugli iraniani e il dossier contro Riad: la via di Biden al dialogo
LA SVOLTA
NEW YORK «Risponderemo nel modo appropriato, e quando lo riterremo opportuno». Così dodici giorni fa la portavoce della Casa Bianca reagiva al primo di tre attacchi di milizie filo iraniane contro le truppe americane di stanza in Iraq. E la risposta è venuta nella notte di giovedì. Due aerei da combattimento F-15 hanno sganciato 7 bombe contro una base utilizzata dalle stesse milizie al confine fra l'Iraq e la Siria. È stata la prima missione militare della giovane amministrazione Biden, ed è stata anche molto letale, avendo lasciato almeno 22 morti sul terreno. Polemiche sono subito scaturite nell'ala sinistra del partito democratico, ma nessuno ha avuto dubbi sui motivi, e sul significato che l'attacco vuole avere nella politica estera e nazionale del nuovo presidente.
I DUE FRONTI DI JOE
Sul fronte interno Biden ha inteso rassicurare i democratici moderati e i repubblicani che le sue aperture diplomatiche nei confronti dell'Iran sulla questione dell'accordo nucleare non vanno interpretate come un segnale di debolezza verso Teheran. Sul fronte della politica internazionale, il nuovo presidente intende mandare un ammonimento diretto a Teheran e far capire agli alleati di condividere la preoccupazione - espressa soprattutto da Israele - che l'accordo sul nucleare lascia comunque scoperto un fianco pericoloso e cioè il riarmo convenzionale dell'Iran, e il suo sostegno a milizie destabilizzanti che agiscono in tutta l'area del Medio Oriente. Alcuni analisti aggiungono una terza considerazione a queste analisi, e cioè la necessità per l'amministrazione di non apparire troppo schierato a favore dell'Iran proprio quando sta ridimensionando l'alleanza con l'Arabia Saudita.
EQUILIBRISMO
Si tratterebbe cioè per Biden di fare un difficile equilibrismo fra le due potenze regionali rivali, quella saudita e quella sciita. Da un canto cioè raffreddare i rapporti con Riad in seguito alla conferma dell'intelligence che fu il principe ereditario Mohammad bin Salman a ordinare «la cattura o l'uccisione del giornalista Jamal Khashoggi», e dall'altro aprire all'Iran senza però tradire particolari simpatie per gli ayatollah e le loro milizie. Il rapporto dell''intelligence Usa su Khashoggi, insabbiato da Trump, e reso noto ieri da Biden, contrasta con la versione saudita secondo la quale il principe non sapeva nulla della missione contro il dissidente, ucciso nel 2018.
L'attacco di giovedì sera, è stato precisato dal Pentagono e dalla Casa Bianca, era stato discusso con gli alleati, e aveva ricevuto il via libera sia del governo iracheno che di quello regionale iracheno-curdo. Il bersaglio è stato scelto proprio per evitare di sganciare bombe sul territorio dell'Iraq, e il Pentagono ha assicurato che la base colpita è usata per il contrabbando di armi iraniane dagli stessi miliziani che hanno effettuato i tre attacchi in Iraq.
Il governo siriano ha protestato per la violazione del suo territorio e ha definito il raid «un vile attacco». Anche la Russia, che da nove anni combatte in Siria al fianco del governo di Bashar al-Assad, ha criticato l'attacco americano e ha lamentato che il preavviso che di solito viene mandato in questi casi per evitare troppe vittime è arrivato solo cinque minuti prima: «Cinque minuti sono inutili» ha protestato il ministro degli Esteri Sergei Lavrov. Ma la Casa Bianca non ha risposto, preoccupata piuttosto di ricordare a Putin che anche con lui c'è un contenzioso aperto, quello dell'Ucraina. A sette anni dall'invasione russa, la Casa Bianca ha inviato un messaggio a Mosca: «In questo triste anniversario noi riaffermiamo una semplice verità: la Crimea è Ucraina. Gli Stati Uniti non riconoscono e non riconosceranno mai la presunta annessione russa della penisola e saranno sempre al fianco dell'Ucraina contro le aggressioni russe».
Anna Guaita
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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