«La vedova Anna la prima a darmi fiducia, il giudizio su di lui tocca agli studiosi»

Giovedì 9 Gennaio 2020
Gianni Amelio precisa infervorato che Hammamet non è un film su Craxi. «Anche se lui è il protagonista e il motore del racconto», afferma il regista, 74 anni, «ho voluto affrontare un tema più universale».
Quale?
«L'agonia di un leader che ha perso il potere si avvia verso la morte coltivando rimpianti e rancori, macerandosi fino all'autodustruzione».

Come le è venuto in mente?
«Il produttore Agostino Saccà mi aveva proposto di portare sullo schermo la storia di Cavour e del suo rapporto con la figlia. L'idea non mi faceva impazzire, così ho rilanciato con la più moderna vicenda di Craxi raccontato negli ultimi mesi della sua vita ad Hammamet, quando la figlia Stefania si prese cura di lui sia pure contrastandolo: voleva che tornasse in Italia per presentarsi ai magistrati».

Craxi è stato un latitante o un esule?
«Né l'uno né l'altro. Piuttosto un contumace che si riteneva ingiustamente perseguitato dalla giustizia».
Ingiustamente anche secondo lei?
«Il mio parere conta poco. Non credo che la magistratura abbia commesso errori nei suoi confronti, tuttavia il giudizio finale spetta agli storici. Io ho rappresentato l'ostinazione, drammaturgicamente interessante, con cui Craxi si riteneva nel giusto pretendendo di essere giudicato dal Parlamento e non dalla magistratura... Nel film non mi schiero, non do risposte ma lancio le domande».
Ha mai incontrato Craxi?
«Mai. E non ho nemmeno mai votato per il Psi. Ma disapprovai l'episodio delle monetine lanciate contro di lui davanti al Raphael nel 1993: fu un'abiezione, un errore della sinistra. Non si combattono le idee dell'avversario con l'insulto, una pratica putroppo oggi frequente». Hammamet riflette il suo rimpianto per la politica di un tempo? «Senza dubbio. Craxi è stato l'ultimo leader che, nel bene e nel male, ha fatto la vera politica. Anche se aveva la presunzione di sentirsi al di sopra delle istituzioni ed era provvisto di un ego che sconfinava nell'arroganza».

E' stato difficile convincere i familiari ad approvare il progetto, a prestare la villa per le riprese del film?
«La prima a darmi fiducia, dopo averla negata da altri registi, è stata Anna, la vedova di Bettino. Il grimaldello che mi ha permesso di entrare in confidenza con lei, donna colta e simpaticissima, è stato l'amore comune per i western di Anthony Mann. Poi ho avuto l'approvazione dei figli Stefania e Bobo».

Mettere in piedi un film su Craxi ha comportato delle difficoltà particolari?
«No. RaiCinema ha aderito subito al progetto di raccontare il declino di Craxi, un protagonista della storia italiana su cui è calato un silenzio ingiusto e assordante».

Pierfrancesco Favino, che fornisce un'interpretazione impressionante, è stata la sua prima scelta?
«Certo. Senza di lui il film non si sarebbe fatto. Ogni giorno si sottoponeva eroicamente a cinque ore di trucco, ma ha fatto dimenticare la maschera. Ha reso magnificamente il personaggio attraverso la voce, i gesti, la camminata stanca. Tanto che circola una battuta: Amelio ci ha preso in giro, ha fatto recitare Craxi spacciandolo per Favino».

Gloria Satta
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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