LA SENTENZA
ROMA La decisione della Corte Costituzionale di non ammettere il

Venerdì 17 Gennaio 2020
LA SENTENZA
ROMA La decisione della Corte Costituzionale di non ammettere il referendum pro-maggioritario chiesto dalla Lega tramite otto consigli regionali ha un risvolto tecnico e uno politico.
Sul piano tecnico-giuridico la bocciatura è arrivata per «eccesso di manipolazione». Lo scarno comunicato stampo della Corte fa presumere che i giudici abbiano giudicato debole o azzardata il cavillo proposto dai richiedenti il referendum per renderlo ammissibile.
Di cosa si tratta? In parole semplici, il referendum intendeva farci votare solo con il canale maggioritario per collegi uninominali dove vince il candidato più votato. Come accade in Gran Bretagna. Ma i collegi vanno disegnati. Oggi per la sola Camera sono 232 e dovrebbero diventare (quando entrerà in vigore il taglio dei parlamentari sui quali ci sarà un altro referendum) come minimo 391. Un lavoraccio, per il quale occorre parecchio tempo.
E invece la Corte Costituzionale da sempre ha stabilito che le leggi elettorali che escono da un referendum devono essere «immediatamente applicabili» per evitare che i cittadini perdano il diritto al voto anche per poche settimane.
Per ovviare al problema i tecnici della Lega hanno individuato un cavillo tutt'altro che peregrino. Per ridisegnare i collegi proponevano che in caso di vittoria referendaria il governo utilizzasse una delega prevista da un'altra legge, quella che ha tagliato i parlamentari (e dunque anche i collegi). «E' probabile - chiosa il costituzionalista Stefano Ceccanti, deputato del Pd - che la Corte abbia giudicato troppo ardito che una delega pensata per una determinata finalità venisse applicata ad un altro obiettivo».
Inoltre la delega non solo era prevista da un'altra legge (a sua volta sottoposta a un referendum) ma come tutte le deleghe parlamentari deve avere un periodo preciso di validità (inizio e fine) impossibile da indicare da parte dei referendari.
Naturalmente i dettagli della sentenza si conosceranno entro il 10 febbraio con la sua pubblicazione, si sa però che la bocciatura dei giudici è arrivata dopo sei ore di discussione e che è stata presa a maggioranza, sia pure larga.
I RIFLESSI POLITICI
Fatalmente la scelta della Corte ha conseguenze politiche. L'obiettivo della Lega, tramite il rilancio della carta maggioritaria, era (e resta) quello di valorizzare la sua posizione di primo partito e la possibilità per i sovranisti di ottenere la maggioranza dei seggi in parlamento anche senza il 51% dei voti e di coalizzare Forza Italia. Ora il percorso di questo progetto diventa molto più complicato. Di qui l'ira di Salvini che ha abbandonato in fretta i toni moderati dei giorni scorsi durante i quali aveva ipotizzato un ritorno al Mattarellum, la legge emaggioritaria al 75% del 1994 che porta la firma dell'attuale presidente della Repubblica.
«È un furto di democrazia, è una vergogna, è il vecchio sistema che si difende: Pd e 5stelle sono attaccati alle poltrone. Ci dispiace che non si lasci decidere il popolo: ora punteremo sul presidenzialismo», ha detto Salvini tornando a toni ruvidi.
Dal Pd si lascia trapelare una grande soddisfazione, calcando la mano però soprattutto sul nuovo e consistente stop alla marcia di Matteo Salvini. «La Lega aveva preparato un trappolone e ci è finita dentro», sottolinea il senatore Dario Parrini, senatore Pd ed esperto di leggi elettorali. Parrini preferisce il proporzionale con sbarramento al 5%, come previsto dalla riforma appena presentata alla Camera, ad una legge maggioritaria a un turno che nell'esperienza italiana non ha impedito ai piccoli partiti di farla da padrone. Ma chi sembra puntare su questo progetto sono soprattutto i 5Stelle con il ministro dei Rapporti con il Parlamento Federico d'Incà che annuncia l' «avanti tutta».
Ora sulla nuova legge elettorale si apre la partita vera, delicatissima. Sulla quale c'è una sola certezza: si entra in un campo minato dove un ruolo decisivo lo avranno i voti segreti. Cambiare l'attuale Rosatellum (che ha una soglia al 3% per i partiti in coalizione e viene citato come base di discussione da Giorgia Meloni) non sarà una passeggiata.
Diodato Pirone
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci