La presidente: impedito un vulnus Il suo voto però non ha precedenti

Domenica 19 Gennaio 2020
IL RETROSCENA
ROMA Al mattino gli elogi, la sera gli insulti. Non se ne capacitano proprio, a palazzo Giustiniani. Prima i complimenti giunti a Elisabetta Casellati da dem e renziani, con tanto di messaggini privati sul telefonino della seconda carica dello Stato, per aver allargato i componenti della giunta per il regolamento di palazzo Madama. E poi, dopo la decisione di confermare il voto sull'autorizzazione a procedere per Matteo Salvini per domani, facendo pesare il suo sì, la valanga di critiche alla seconda carica dello Stato medesima.
VULNUS
Ma la presidente, ripetono i suoi, ha fatto soltanto il suo dovere, consentendo a un organo del Senato di funzionare, perché in caso di impasse della giunta il voto su Salvini sarebbe andato direttamente in aula e questo sì che sarebbe stato un vulnus vero che il suo intervento ha impedito. E ancora, osservano: com'è che la convocazione della commissione di garanzia che deve discutere dei vitalizi, fissata per martedì prossimo, non è oggetto di altrettante polemiche nonostante lo stop pre-elettorale?
Epperò, anche a scartabellare (come è stato, affannosamente, fatto ieri, nonostante il giorno semifestivo, sia da destra che da sinistra) gli archivi del Palazzo, non risultano precedenti di un presidente del Senato che vota in giunta per il regolamento, organo preposto proprio a fornire pareri al presidente stesso sull'interpretazione di questa o quella norma procedurale interna. Di più, la seconda carica dello Stato, in quanto tale, di prassi non vota proprio: neppure in aula al momento dei voti di fiducia, neppure se il suo voto si rivelasse essenziale per la sopravvivenza del governo. Sia chiaro, non stiamo parlando di una legge scritta. Come spesso accade ai piani alti delle istituzioni, si parla di «consuetudini consolidate», che talora sono perfino più cogenti rispetto a norme e regolamenti, che a maggioranza si possono pur sempre cambiare. «Io preferisco un presidente terzo che non prende parte, però devo ammettere che il regolamento non lo vieta», osserva anche Emma Bonino: «Non c'è stato nessuno strappo regolamentare, lo ha fatto per opportunità politica e io per le stesse ragioni non avrei votato».
Cercando, come si diceva, dei precedenti da poter brandire di fronte ai critici, ai piani alti di palazzo Madama fanno notare il voto del collega della Camera Roberto Fico, che a inizio legislatura ha avallato la nascita del gruppo autonomo di Mep-Sel, nonostante avesse 14 deputati anziché i 20 regolamentari.
IL RUOLO DI GRASSO
Ma come si vede, non è proprio la stessa cosa. Si evoca anche un «precedente Bertinotti» (sempre Camera, però) e «forse» un qualcosa riferito a Franco Marini, che però non trova conferme né memoria. Anzi, c'è chi in queste ore ricorda come il suo predecessore Piero Grasso, pur protagonista di polemiche anche roventi in aula, nella stessa giunta per il regolamento rifiutò di avallare la richiesta di voto segreto sulla decadenza di Berlusconi. E infatti alla fine passò per 7 voti a 6 la decisione di far votare l'aula a scrutinio palese, dopo un drammatico testa a testa.
Barbara Jerkov
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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