La parolaccia che degrada la dignità del politico

Venerdì 24 Maggio 2019
Dal politichese al neo-volgare: non è una bella parabola quella del linguaggio del Palazzo. In cui - competiton is competition - Di Maio s'è messo a rincorrere Salvini anche nell'abuso delle parole e delle parolacce. E l'effetto è degradante in una campagna elettorale degradata. Si dirà: ma perché stupirsi visto che la neo-politica è nata sull'onda del Vaffa di Beppe Grillo e anche quella di prima ospitava le trivialità di Umberto Bossi che una volta, a una giornalista, rispose con una pernacchia? E invece, fa per fortuna ancora impressione sentire Di Maio, ieri, che alle dichiarazioni di Salvini sulla modifica dell'abuso d'ufficio ha reagito così: «Più lavoro e meno str...». Aggiungendo un'altra perla a una catena in cui tempo fa - sempre in risposta al cosiddetto Truce, cioè a quello «della pacchia è finita», del «marcire in galera» e di altre piacevolezze - inserì questa: «I termovalorizzatori di cui parla Salvini non c'entrano una benamata ceppa!». Va bene: la politica, secondo la definizione di Rino Formica, è «sangue e m...». Ma vantare il turpiloquio per apparire più pop, più populisti e più vicini alla «ggente» è irriguardoso anzitutto verso i cittadini e anche verso il ruolo pubblico che si riveste. Guai a diminuirne la dignità e a volgarizzarlo. Lo stile è sostanza. E «i limiti del mio linguaggio - come spiegava Ludwig Wittgenstein - sono i limiti del mio mondo».
Mario Ajello
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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