La paralisi in quattro porti ma danni ridotti per l'Eni

Domenica 19 Gennaio 2020
IL BLITZ
Alta tensione alla vigilia del summit di Berlino sulla Libia. Ieri alcune tribù cirenaiche vicine al generale Khalifa Haftar, a sorpresa, hanno bloccato le esportazioni di greggio dai porti di Brega, Ras Lanuf, Hariga, Zueitina e Sidra, nella zona centrale e orientale della costa. Una mossa che se è vero che da un lato permette al generale di guadagnare una posizione negoziale forte al tavolo di oggi, dall'altro canto tocca ben poco gli interessi economici dell'Italia.
RIPERCUSSIONI
Al momento il blocco dovrebbe avere ripercussioni su un solo campo estrattivo dell'Eni, peraltro marginale. Vale a dire il giacimento onshore di Bu Attifel, situato 300 km a sud di Bengasi e composto da circa quindici pozzi con una capacità di qualche migliaio di barili al giorno. Una cifra trascurabile rispetto ai 280mila barili che, secondo le stime ufficiali, Eni ha estratto ogni giorno del 2019. Proprio per questo la preoccupazione per il colosso dell'energia appare relativa. Da tempo la compagnia ha deciso di differenziare le proprie attività puntando sempre più sul gas - non colpito dal blocco imposto ieri in Cirenaica - piuttosto che sul petrolio.
Non è un caso che gli interessi dell'Eni in Libia passino quasi del tutto attraverso il gasdotto Greenstream. Composto da una linea di 520 chilometri con una capacità di 8 miliardi di metri cubi/anno, il gasdotto attraversa il Mar Mediterraneo e collega l'impianto di trattamento di Mellitah sulla costa libica con Gela in Sicilia. Il tutto per consentire l'importazione di idrocarburi prodotti a Wafa e Bahr Essalam, giacimenti situati nella parte occidentale del Paese, quella non controllata dalle milizie di Haftar. Allo stesso modo non è casuale che il cane a sei zampe abbia ormai incentrato le proprie strategie di sviluppo su altri Paesi. Non solo Eni da alcuni anni ha iniziato a muoversi fortemente nel resto del continente africano (è presente in altre 13 nazioni) ma soprattutto ha puntato lo sguardo verso altre aree investendo, ad esempio, in Messico e Medio Oriente.
DINAMICHE
In pratica chi quella regione la vive davvero ha capito in anticipo che la Libia sarebbe stata assorbita da altre dinamiche e ha iniziato a tutelarsi lavorando a delle alternative. La sensazione, confermata da alcuni operatori presenti sul campo, è che ci sia ormai una serena rassegnazione nei confronti di un quadro che da tempo appare inevitabile: la definitiva perdita di influenza italiana nel Paese a vantaggio di altri attori politici come Russia e Turchia che, una volta sbarcati in Libia, è impensabile si ritirino. In ogni caso, in attesa che il vertice fornisca nuove certezze o obiettivi, la chiusura dei rubinetti ha causato la diminuzione della produzione totale di petrolio della Libia di almeno 700.000 barili al giorno, il che equivale a oltre 47 milioni di dollari ogni 24 ore.
PREOCCUPAZIONE
Una situazione che preoccupa «profondamente» l'Unsmil, la missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia che ha sottolineato come questa possa infliggere un «colpo durissimo alla situazione economico finanziaria già deteriorata del paese».
Il rischio infatti, al di là di ciò che accadrà a Berlino, è che il petrolio si trasformi ancora una volta in «un'arma di guerra». Esattamente ciò che l'inviato dell'Onu Ghassan Salamé, vorrebbe evitare: «Non bisogna giocare con il petrolio perché è il pane dei libici. Senza petrolio, i libici muoiono di fame».
Francesco Malfetano
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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