La malavita finanziaria

Mercoledì 19 Dicembre 2018
L'INCHIESTA
TRIESTE «Siete tutti morti». Non usavano giri di parole i camorristi con le loro vittime in Veneto e Friuli Venezia Giulia. Dalla Campania gli uomini del clan dei Casalesi si erano installati a Nordest per proteggere l'imprenditore di Portogruaro Fabio Gaiatto, quando i reclami nei suoi confronti da parte degli investitori che aveva truffato diventavano troppo pressanti. Così, minacciando imprenditori veneti, friulani e croati, riuscivano a farsi intestare ville, terreni e autovetture di grossa cilindrata del valore di 180mila euro, o pretendendo bonifici fino ad 80mila euro da far confluire sul conto delle società del faccendiere veneto. Gaiatto, in qualità di finto promotore finanziario, è stato denunciato in Croazia da alcuni suoi clienti: avrebbe raccolto abusivamente 72 milioni di euro promettendo investimenti ad altissimo reddito su piattaforme di trading internazionali ma mai realizzati. Le denunce effettuate in Croazia hanno portato al blocco dei conti correnti delle società del 43enne impedendogli così anche di restituire quanto investito inclusi i 12 milioni di euro che il clan dei Casalesi gli aveva affidato. Nel momento in cui Gaiatto si è ritrovato con le mani legate, la squadra dal Sud si è mossa puntando anche a far ritirare le denunce nei suoi riguardi
AFFILIATI
L'attività della Direzione investigativa antimafia di Trieste ha portato all'arresto ieri mattina nell'ambito di un'operazione denominata Piano B - di sette persone che risiedevano e agivano tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, tutte affiliate al clan e accusate di estorsione aggravata dal metodo e dalle finalità mafiose: si tratta dello stesso Gaiatto (43 anni, già detenuto), Francesco Iozzino (56enne di Milano ma di origini napoletane e residente a Resana in provincia di Treviso), Gennaro Celentano (34enne di Napoli, già detenuto), Mauro Curtiello (36enne di Napoli e già detenuto), Valter Borriello (42enne di Torre del Greco), Luciano Cardone (37enne di Torre del Greco e domiciliato a Soliera in provincia di Modena) e Domenico Esposito (45enne di Napoli residente a San'Antimo). Altre persone risultano indagate e perquisite a vario titolo a Treviso, Milano, Udine e Portogruaro, anche per favoreggiamento e abuso d'ufficio. Gli arrestati sventolavano sotto gli occhi dei malcapitati la foto di casa, moglie e figli ma anche delle loro auto utilizzando minacce di ritorsione o morte: tutte le estorsioni sono state pianificate a Portogruaro con incontri a Trieste e in Friuli Venezia Giulia per poi essere messe in atto all'estero, ossia in Croazia. Quando le autorità croate, in seguito alle numerose denunce, hanno bloccato i conti correnti delle varie società riconducibili a Gaiatto, sono stati bloccati anche i fondi degli investimenti della camorra, ossia i 12 milioni che l'organizzazione criminale ha voluto poi recuperare spennando gli ex soci e investitori croati collegati alle società del broker.
LE SPEDIZIONI
Questo ha fatto scattare la spedizione a Nordest con tanto di bodyguard che dalla mattina alla sera presidiava l'abitazione e i famigliari del 43enne per proteggerlo dalle continue e pressanti richieste di coloro che volevano rientrare in possesso dei propri soldi. Una sorta di buttafuori che picchiava le persone che si avvicinavano alla villa garantendo così a Gaiatto una protezione da eventuali attività ritorsive dei creditori, esasperati per il mancato rientro dei capitali investiti. Coinvolti nelle estorsioni anche un ex appartenente alla Polizia di Stato ora in pensione, nato a Udine ma domiciliato a Trieste, che è stato perquisito e trovato in possesso di 42mila euro in contanti. Assieme a Gaiatto, ha ideato di appoggiarsi ad un legale e ad un ex combattente (entrambi croati) per prelevare alcune persone dall'Italia e portarle in Croazia dove far loro firmare degli atti davanti ad un notaio che certificassero la rinuncia dei propri crediti e il ritiro delle denunce.
I COMPLICI
L'altra posizione da approfondire e verificare - riguarda un carabiniere della compagnia di Portogruaro che era stato contattato da uno degli arrestati (Iozzino) per sapere chi avesse operato nei confronti di Gaiatto. La moglie del carabiniere era infatti una dipendente di Iozzino nell'ambito dell'attività di una ditta del Padovano.
«In tanti anni nonci sono mai stati sette arresti così rilevanti - ha detto il Procuratore capo di Trieste, Carlo Mastelloni - tutti aggravati dal metodo mafioso: è un segno importante di collocazione permanente sul territorio di forze che sono espressione di clan. Abbiamo un territorio minato da queste organizzazioni e con le nostre poche forze stiamo cercando di creare più focolai di inchieste che rendano ostensibile il meccanismo: gli investimenti dei camorristi si estendono nelle località più rinomate della zona costiera e attraverso le intercettazioni si comprende come ogni giorno si inventino diverse maniere per investire in modo fraudolento. Corrono come pazzi mentre noi arranchiamo con i pochi mezzi che abbiamo. La criminalità organizzata ha un sistema di marcia che non tollera soste, deve ad esempio alimentare le famiglie dei carcerati: sono vere e proprie holding. Non si tratta più di infiltrazioni ma di veri e propri insediamenti insidiosi».
Elisabetta Batic
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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