LA CONFERENZA
PALERMO Quello che rimarrà di questa Conferenza sulla Libia

Mercoledì 14 Novembre 2018
LA CONFERENZA
PALERMO Quello che rimarrà di questa Conferenza sulla Libia è prima di tutto la volontà di superare i conflitti tra le parti politiche e di mostrare la coesione della comunità internazionale. «Già un successo», secondo il premier Giuseppe Conte e l'inviato dell'Onu Ghassan Salamè. Anche se l'accordo, quello vero, non è stato trovato. Nessun documento finale è stato presentato, tantomeno firmato, nonostante la preparazione di queste ultime settimane.
Non sono bastati i sorrisi, le strette di mano, tanto enfatizzati nelle dichiarazioni ufficiali. La Libia si è mostrata al tavolo di Palermo per quello che è veramente: spaccata, divisa tra mille fazioni, senza un vero leader che possa rappresentarla, con la popolazione civile stufa di chi governa. Si capisce allora perché il generale Khalifa Haftar sia riuscito a giocare un ruolo da protagonista, pur non avendo offerto molto al processo di stabilizzazione.
IL MINI VERTICE DI HAFTAR
Ha preteso un mini vertice di prima mattina, che si è svolto con il nemico Fayez al Serraj, con il presidente egiziano amico Abdel Fattah al Sisi, con il premier russo Dmitri Medvedev e con chiunque non appartenesse a quella fazione, ancora forte in Libia, rappresentata dai Fratelli musulmani. Poi è andato via, senza partecipare alla foto di famiglia, tantomeno alla plenaria, portandosi dietro al Sisi, che ha comunque confermato quanto importante sia trovare una soluzione complessiva e unitaria della crisi, senza schierarsi né con il premier né con il generale.
E in questo clima ad alto tasso di litigio, è spiccato l'endorsement del feldmaresciallo nei confronti del rivale Serraj. Mentre stringeva mani ha dichiarato, usando una metafora da condottiero: «Non è utile cambiare il cavallo finché non si è attraversato il fiume». Insomma, che il presidente resti in carica, almeno finché non venga recuperata un po' di sicurezza nel paese e non si arrivi alle tante agognate elezioni. E Serraj, dal canto suo, non si è discostato, ribadendo l'utilità della Conferenza e soprattutto il pieno sostegno al piano dell'inviato Onu Ghassan Salamè.
Di fronte a questo scenario, non importa se l'alzata di testa del generale abbia infastidito la delegazione turca che si è allontanata in fretta e furia perché non invitata alla mini plenaria. Fa parte del gioco e lo conferma lo stesso presidente del Consiglio. «Mi è dispiaciuto che siano andati via - ha dichiarato - ma non è stata una protesta contro l'Italia. Far convergere a Palermo 30 paesi significa anche esporre questa riunione alle diverse sensibilità. Non si può non accettarlo».
L'ARMATA RUSSA
Restano le prossime carte da giocare e le tante questioni sul tavolo. Con una presa di posizione più netta della Russia, che si è presentata a Palermo con una delegazione di 150 persone. Lo conferma anche Lev Dengov, un super sherpa, capo del gruppo di contatto della Duma per la Libia. «Vogliamo essere in prima linea nella soluzione della crisi, senza interferenze o ingerenze dall'esterno perché il 90% del successo dell'operazione dipende dai libici», ha chiarito. Quindi «sostegno al piano dell'Onu» ma senza imporre «scadenze forzate» sul dialogo tra le diverse fazioni, come sottolineato da Medvedev al termine della conferenza. Che valore ha allora la stretta di mano tra Serraj e Haftar? «Lo hanno fatto altre volte - non si sbilancia Dengov - adesso bisogna vedere se manterranno le promesse». Mentre il senatore Pier Ferdinando Casini ha commentato: «Insieme con la foto opportunity, la strtta di mano è il simbolo di tutta la Conferenza di Palermo anche perché - ha aggiunto - il resto non è esistito nonostante gli encomiabili sforzi dei nostri diplomatici».
E allora, se l'intento dichiarato dall'Italia per la Conferenza era quello di compiere un primo passo per «riavviare il dialogo» tra le diverse fazioni ci si può ritenere soddisfatti. «Se qualcuno pensava che avremmo trovato la soluzione definitiva per la Libia - ammette Conte - allora è stato un insuccesso. Perché nessuno ha mai pensato di poterlo fare in questa sede».
La road map prevede ora la preparazione della Conferenza tra libici che si terrà sul territorio nelle prime settimane di gennaio. Da lí potrebbe uscire la data per le future elezioni, forse già a primavera prossima. Le questioni sul tavolo tra Tripoli e Tobruk sono molteplici. E al di là del riconoscimento internazionale resta un nodo fondamentale: l'embargo sulle armi. L'Onu lo ha sollevato per il governo Serraj, che potrà avanzare richiesta per acquistarne. A patto, tuttavia, che siano utilizzate per combattere formazioni islamiste. Anche Haftar aveva chiesto la fine delle restrizioni nei confronti delle autorità di Tobruk, ma non è stato accontentato.
Cristiana Mangani
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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