L'offensiva della Casa Bianca in nome di un dollaro debole

Mercoledì 19 Giugno 2019
IL RETROSCENA
ROMA L'attenzione ai movimenti di mercato e l'ossessione per la guerra delle valute. Sono questi i fattori che hanno spinto il presidente americano all'inusuale attacco diretto a Mario Draghi. Convinto com'è che gli altri Paesi facciano ricorso a trucchi e comportamenti sleali per battere gli Stati Uniti, il presidente ha adottato lo stesso approccio retorico riservato in altre occasioni, ad esempio, alla Cina; alla cui azione viene esplicitamente paragonata, in uno dei tweet di ieri, quella della banca centrale europea.
LO SCONTRO COMMERCIALE
Un dollaro debole come arma da usare nello scontro commerciale globale rientra nella strategia dell'attuale amministrazione in parallelo alle mosse sui dazi. L'accusa a Pechino di manipolare la propria valuta è ricorrente, ma stavolta l'offensiva è diretta non contro un'entità politica ma contro il numero uno della banca centrale europea. Ed è stata sferrata nel momento in cui le parole di Draghi ottenevano un effetti visibile sui mercati, a differenza di quanto era avvenuto qualche giorno fa quando aveva anticipato una identica volontà.
Su questo aspetto si è soffermato lo stesso banchiere centrale nella discussione del pomeriggio a Sintra, in compagnia di Mark Carney e Stanley Fischer. Perché due reazioni diverse a indicazioni della banca che andavano nella stessa direzione, quella di un possibile ritorno al Qe? Draghi ha risposto che «i comportamenti dei mercati dipendono da cari fattori e sono difficili da spiegare». A volte però «può servire tempo, perché la reazione può dipendere da come è stato percepito il messaggio, che a volte forse è stato articolato male». Evidentemente il discorso di ieri è risultato più convincente di quello fatto a Vilnius quasi due settimane fa.
Dal punto di vista di Trump, la frustrazione per l'effetto ottenuto dalla Bce è stata probabilmente simmetrica a quella da lui provata più volte negli ultimi mesi, quando ha provato a influenzare direttamente le mosse della Fed e del suo capo Jerome Powell. In questo periodo le due banche centrali si stanno muovendo con un certo coordinamento ed anche la Fed si è spostata su una posizione favorevole a nuove riduzioni dei tassi. Sostanzialmente quello che il capo della Casa Bianca voleva e aveva già chiesto in un momento un po' diverso dell'economia.
IL SOSTEGNO A FARAGE
Ma come si possono inquadrare i tweet presidenziali nell'attuale fase del confronto tra Europa e Stati Uniti? Trump è stato nel Vecchio Continente a inizio mese, per le celebrazioni del settantacinquesimo dello sbarco alleato. Qualcuno ha notato come proprio il concetto di alleanza suoni in modo del tutto particolare di questi tempi. Di fatto gli Usa non sentono il bisogno di confermare le ragioni di quell'alleanza e a volte non cercano nemmeno di salvare le apparenze. Un esempio lampante è stato il suggerimento dato alla Gran Bretagna di uscire dall'Unione europea senza alcun accordo, accompagnato dall'indicazione di Nigel Farage come candidato ideale a gestire il negoziato. Di fatto si tratta non solo di un sostegno piuttosto esplicito alla fuoriuscita di Londra, ma di una cannonata contro l'intero edificio europeo. E visto che Supermario è quasi universalmente riconosciuto come l'uomo che ha salvato l'euro (l'ex capo economista del Fmi, Olivier Blanchard, proprio a Sintra ha detto che andrebbe inserito nel Pantheon dei padri dell'Europa) la bordata trumpiana contro Draghi, al di là del tema specifico, si può anche inserire in questa guerra non dichiarata all'Unione europea.
Luca Cifoni
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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