L'INCHIESTA
VENEZIA Quattro ore sotto torchio, sulle spalle l'ipotesi di reato

Sabato 18 Maggio 2019
L'INCHIESTA
VENEZIA Quattro ore sotto torchio, sulle spalle l'ipotesi di reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina: a Lampedusa Beppe Caccia, 50 anni, armatore della nave Mare Jonio della Ong Mediterranea, ha risposto alle domande del procuratore di Agrigento, Salvatore Vella, e del pm Alessandra Russo, sul soccorso prestato tra il 9 e 10 maggio ad un gommone con 30 migranti salvati in acque internazionali. Sentito Caccia, i magistrati hanno rinviato il previsto interrogatorio del comandante della nave, Massimiliano Napolitano, anche lui indagato per lo stesso reato (ed entrambi per la violazione di alcuni articoli del Codice della navigazione). La nave Mare Jonio resta sotto sequestro probatorio, Caccia, ex assessore al sociale del Comune di Venezia, ha detto che chiederà il dissequestro per «poter tornare a navigare immediatamente per salvare vite umane». Ieri lui e l'equipaggio hanno ricevuto la visita di don Luigi Ciotti. In marzo anche Luca Casarini, a sua volta capo missione della Ong Mediterranea, era stato indagato per le medesime accuse in relazione al recupero di 49 migranti naufragati di fronte alla Libia.
LA RICOSTRUZIONE
Mentre proseguono le indagini della Finanza, i pm hanno voluto ricostruire le fasi dal soccorso allo sbarco e acquisito documenti ed email. La vicenda inizia giovedì 9 maggio, ore 17.50. A 40 miglia dalle coste libiche, la Mare Jonio intercetta un gommone verde scuro con 30 persone a bordo tra cui 3 donne (due incinte di sette e quattro mesi), cinque minori non accompagnati, uomini di varia provenienza, Bangladesh, Sud Sudan, Costa d'Avorio, Mali, Nigeria, Camerun. Inizia il salvataggio che termina alle 19.13.
«Scrivo all'Imrcc, il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo - è la versione data da Caccia - per chiedere in quale porto sicuro dobbiamo dirigerci. Raccogliamo le testimonianze dei migranti: storie terribili, gente in fuga dal genocidio del Sud Sudan, da violenze, fisiche, sessuali, privazioni, abusi subiti nei campi libici dopo detenzioni anche di un anno e mezzo».
Ore 21.30: «Arriva la mail di risposta dell'Imrcc - ha osservato Caccia - Che si limita ad allegare una nota del Centro di coordinamento per l'immigrazione della Direzione della Polizia di frontiera del ministero dell'Interno. In pratica, risponde il Viminale. Ci dice di coordinarci con le autorità libiche e di sottostare alle indicazioni che ci daranno».
QUEL NO
Ore 23 circa: Caccia replica avvisando che «non obbedirà al Viminale e proseguirà verso Lampedusa». Spiegando perchè: «L'Interno non è l'autorità competente in materia di soccorsi in mare. In Libia c'è uno stato di guerra, le acque ora sono più pericolose rispetto ai mesi scorsi, le motovedette sono armate come unità da combattimento, lì nessun porto può essere considerato sicuro. Non possiamo mettere a rischio la vita di queste persone in fuga dai propri aguzzini riportandole da loro: significherebbe la violazione della Convenzione di Ginevra, articolo 33. Per cui - conclude il comandante della Mare Jonio - ho chiesto nuovamente indicazioni su dover sbarcare».
Venerdì 10, ore 4 del mattino: arriva la risposta dell'Imrcc. «Glissano sulla nota del Viminale e chiedono solo l'elenco delle persone a bordo, quindi di procedere all'attività di identificazione, propedeutica allo sbarco». La Mare Jonio avanza verso Lampedusa.
Ore 6.45: «La nave entra nelle acque territoriali italiane, 12 miglia a Sud dell'isola senza problemi nè diffide - è la risposta data da Caccia ai pm - Dopo 2 miglia, ci affiancano due motovedette, una della Finanza l'altra della Guardia Costiera e ci ordinano l'alt per controlli di polizia. L'equipaggio della Finanza sale a bordo, mi informa delle gravi conseguenze penali a cui andiamo incontro per aver disobbedito all'ordine del Viminale». Per quasi 4 ore la nave resta in stand by. Alle 10.30 arriva l'ok allo sbarco, completato alle 12.15. Poi parte l'inchiesta.
Paolo Francesconi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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