L'azienda ferma i rifornimenti e va verso lo stop degli impianti

Martedì 12 Novembre 2019
IL NEGOZIATO
ROMA Forse non sarà oggi la data del nuovo incontro tra governo e i gran capi di ArcelorMittal. Da Palazzo Chigi e dal Mise non confermano, e anche qualificate fonti molto vicine al dossier da parte aziendale lo considerano molto improbabile. A dare per certo che la data del nuovo round è oggi resta il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo: «Noi avremo altri incontri con l'azienda, e il prossimo sarà domani» ha detto ieri. Al di là della data della riunione comunque la notizia è che le diplomazie di entrambe le parti stanno continuando a dialogare. La trattativa è in corso. I Mittal sono in attesa di capire come finirà la partita all'interno della maggioranza sullo scudo penale, dopo di che - se sullo scudo si troverà la quadra - sono pronti a calare sul tavolo le loro carte. E il punto forte è un perimetro aziendale ridimensionato: a Taranto l'aria a caldo non verrebbe chiusa, anche perché gli impianti funzionano a ciclo integrale, ma molto ridotta. Insomma l'idea di ArcelorMittal è quella di fare della più grande acciaieria d'Europa, una mini-Ilva. La produzione sarebbe drasticamente tagliata rispetto al piano industriale indicato nell'offerta vincolante con la quale il colosso franco-indiano due anni fa ha vinto la gara per l'acquisizione dell'acciaieria, dagli 8 milioni di tonnellate a regime (6 nel periodo transitorio fino al 2023) ci si attesterebbe esattamente alla metà, quattro milioni di tonnellate. Di qui i cinquemila esuberi annunciati. Il governo, lo ha detto e ridetto più volte a tutti i livelli a partire dal presidente Conte, ritiene questo numero «inaccettabile», ma in realtà se vuole che il colosso franco-indiano resti in Italia sa che sul dovrà trattare.
VERSO LO STOP
L'azienda nel frattempo tira dritto con quella che l'ad Lucia Morselli, incontrando la settimana scorsa i delegati sindacali a Taranto, ha definito una «progressiva e ordinata fermata degli impianti». Da alcuni giorni sulla banchina del molo polisettoriale del porto di Taranto è sospeso lo scarico delle materie prime destinate allo stabilimento. Anche nel porto di Brindisi si sono fermate le movimentazioni di materiale destinate all'ex Ilva. «L'ultima nave che ha fatto scalo a Brindisi per il siderurgico di Taranto è ripartita tra mercoledì e giovedì della settimana scorsa» ha rivelato all'Agi.it Tito Vespasiani, segretario generale dell'Autorità di sistema portuale del Mar Adriatico meridionale, porti di Bari e Brindisi. « Di solito, l'arrivo di una nave ci viene anticipato con una settimana di anticipo. Allo stato non c'è nulla» ha continuato. Anche a Genova si teme che tra una decina di giorni al massimo si fermerà tutto per mancanza di materie prime. Per ora è in arrivo una nave carica di semilavorati. Ma non ne risultano altre. I sindacati hanno segnali di un prossimo stop e si preparano alla mobilitazione. A Novi Ligure (oltre 700 dipendenti tra diretti e indotto) invece hanno deciso di non aspettare di restare completamente senza ossigeno prima di protestare e domani scattano 24 ore di sciopero.
Ordini e pagamenti risultano sospesi anche verso le aziende dell'indotto dove è già scattata la cig e si preparano lettere di messa in mora di ArcelorMittal.
Oltre ad un evidente ridimensionamento in atto della gestione operativa quotidiana, ArcelorMittal per ora non pare sospendere nemmeno le azioni legali. Oggi dovrebbe essere ufficialmente depositato al tribunale civile di Milano l'atto di citazione contro l'amministrazione straordinaria per il recesso (è l'atto già notificato ai commissari all'alba del 5 novembre scorso). A loro volta tra domani e dopodomani i commissari si rivolgeranno al tribunale con procedura d'urgenza ex articolo 700 per contestare la pretesa dell'azienda di riconsegnare le chiavi. La loro tesi è che le condizioni giuridiche del recesso del contratto di affitto dell'ex Ilva, preliminare alla vendita, non ci sono e quindi Arcelor Mittal non può dire addio all'Italia.
Giusy Franzese
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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