In Italia il virus non accelera A novembre i primi vaccini

Giovedì 17 Settembre 2020
IL FOCUS
Nell'ultima settimana l'andamento dei contagi per la prima volta sembra essersi stabilizzato. Se i dati giornalieri possono essere spesso fuorvianti, il confronto settimana per settimana può essere un indicatore più attendibile, e guardando ai numeri si nota una debole ma importante frenata, dopo un lungo periodo di accelerazione: tra il 19 e il 25 agosto i casi erano stati 934 casi, nella settimana successiva 1.228, poi si è arrivati ai 1.423 e infine, tra il 9 e il 15 settembre, siamo scesi a 1.406 nuovi casi. Un segnale incoraggiante, certo, ma gli esperti frenano. Perché derubricare gli oltre mille contagi al giorno di Sars Cov 2 come se fosse il normale andamento di un'epidemia che si sta ormai stabilizzando può non essere una buona idea. «Noi viviamo un equilibrio estremamente impegnativo nella convivenza con questo virus - spiega Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza - dal punto di vista della virulenza e della patogenicità è lo stesso di febbraio e di marzo. È lo stesso che in numerose parti del mondo sta provocando ancora danni».
E i numeri, del resto, lo stanno a dimostrare: in Italia sono ormai 291.442 i casi notificati dall'inizio della pandemia e il numero dei decessi sale a 35.645. «A oggi - ricorda Ricciardi - abbiamo circa 1500 contagi al giorno, un aumento delle ospedalizzazioni rilevante. Mentre 20 giorni fa l'80-90 per cento dei casi erano tutti di importazione o di italiani che rientravano dalle vacanze, adesso l'80 per cento è dovuto alla trasmissione intrafamiliare. Questa è una malattia che ha un andamento esponenziale: ti puoi trovare con 1500 casi in questo momento e 10mila tra due settimane». Non c'è da stare tranquilli, insomma. «Per ora l'andamento è incrementale, ma sappiamo che superata una certa soglia, abbiamo il raddoppio di casi ogni due tre giorni. Ecco perché dobbiamo continuare a stare attenti». Le misure di precauzione sono note da tempo, e vanno rispettate. Ma spesso ogni Paese le applica come meglio crede. «In questo momento - rimarca Ricciardi - c'è la Francia che propone di ridurre la quarantena a 7 giorni, la Germania a 10, l'Oms e la Commissione europea la vogliono a 14. Ma la riduzione non sta in piedi dal punto di vista scientifico. C'è bisogno di maggiore coordinamento e di collaborazione internazionale. Questo è un appello che l'Italia farà fortemente per cercare di evitare la confusione».
Le cifre insomma vanno prese con le pinze. Il punto è che «sono indicative ma non sono predittive», spiega l'epidemiologo Donato Greco, consulente dell'Istituto Superiore di Sanità, dell'Oms e dell'Ecdc (European centre for disaese) « L'epidemia vera e propria è finita a fine maggio, ora siamo nella fase di sorveglianza in cui c'è ancora circolazione virale, perché il 97 per cento della popolazione è suscettibile, come indicano le indagini sierologiche nazionali. Il numero dei contagiati aumenta e quindi chiaramente dobbiamo aspettarci un numero crescente di positivi. Il rientro a scuola, dalle vacanze, dall'estero porta sicuramente numerosi piccoli focolai. Quindi ne avremo ancora fino alla prossima primavera». L'epidemia, insomma, non si lascia imbrigliare facilmente. «Adesso si tratta di vedere cosa succede tenendo conto anche di tutti quei fattori che in questo momento hanno dato preoccupazioni, cioè scuole e trasporti - ribadisce Carlo Signorelli, ordinario di Igiene dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano -. Lo vedremo tra 4 settimane».
A preoccupare c'è pure la questione dei pazienti gravi in terapia intensiva, che spesso poi non ce la fanno. «Abbiamo fatto uno studio, che è in corso di stampa sull'International journal of public health, prendendo i dati relativi ai 35.840 morti - aggiunge Signorelli -. La letalità, cioè il numero dei morti rispetto ai casi notificati, è rimasta fino a oggi costantemente del 30 per cento negli ultra 80enni e del 25 per cento circa tra i 70 e gli 80 anni. Oggi ci sono meno morti perché i colpiti sono i giovani. Ma se non si sta attenti, si riparte con i focolai e per gli anziani aumentano i rischi». Il vero andamento dell'epidemia, forse, va osservato tra le corsie degli ospedali. «Ciò che sta accadendo - rimarca Patrizia Laurenti, professore di Igiene dell'Università Cattolica di Roma - è legato a una migliore capacità di fronteggiare l'epidemia, perché sono aumentate le conoscenze. C'è un miglioramento dell'approccio clinico assistenziale che permette di trattare prima e meglio i pazienti con sintomi, anche in strutture di isolamento e osservazione extra ospedaliere».
IRBM
E intanto si spera nell'arrivo di un vaccino. Quello messo a punto dall'azienda Irbm insieme ad Astrazeneca e l'Università di Oxford, se la sperimentazione in corso andrà bene, dovrebbe essere disponibile entro la fine di novembre, in 2-3 milioni di dosi. Negli ospedali, intanto, di tempo per pensare ai grafici statistici non ce n'è. «Dal punto di vista pratico - ammette Claudio Mastroianni, Claudio Mastroianni, direttore della clinica malattie infettive del Policlinico Umberto I di Roma e vice presidente della Simit (Società italiana di malattie infettive e tropicali) - stiamo vedendo un aumento dei ricoveri e lo stiamo osservando tutti i giorni. Stiamo riaprendo i reparti. I giovani che arrivano sono malati anche gravi. In terapia intensiva i quadri di polmoniti a marzo erano prevalentemente di persone anziane, adesso si è abbassata la fascia di età. Ma i quadri che noi vediamo in 60enni sono identici a quelli nelle persone di 80 che vedevamo prima. Noi tutti lo stiamo vivendo quotidianamente: nel giro di un mese è raddoppiato il numero delle persone ricoverate sia in terapia che nei reparti, anche allo Spallanzani, al Gemelli e in altre parti di Italia».
Graziella Melina
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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