IL VIAGGIO
TREVISO «Scusi, c'è da sedersi? Altrimenti quanto c'è

Martedì 20 Ottobre 2020
IL VIAGGIO
TREVISO «Scusi, c'è da sedersi? Altrimenti quanto c'è da aspettare?». Ore 19, dalle parti di Porta San Tomaso, punto di ritrovo per il popolo dello spritz a Treviso. Al Botegon, una delle capitali della movida del capoluogo della Marca, un po' perché ligi alle regole e un po' perché rassegnati alle nuove misure del Dpcm varato l'altro ieri, gli avventori a caccia di un bianchetto o di un classico aperitivo si mettono religiosamente in coda, in attesa che si liberi un posto ai tavoli. Va da sé che di gente, nel primo giorno di restrizioni, qui come in tutti gli altri templi del goto prima della cena, se ne vede un po' meno anche se c'è da dire che la prima sera del coprifuoco dell'alcol in piedi capita di lunedì, giornata fiacca per il rito a cui da queste parti i giovani e meno giovani non vogliono rinunciare.
I CLIENTI
«Dubito che sia una misura che presenti una qualche efficacia dice Massimo, uno dei clienti . Ho visto tanta gente dentro ai bar di Treviso, ma tutti con la mascherina e tutti, o quasi, che al momento di ordinare tenevano la distanza di sicurezza uno dall'altro. Sono con amici e ho trovato subito da sedermi, altrimenti avrei aspettato. Certo che se fosse venerdì e il tempo di attesa fosse stato più di un quarto d'ora, me ne sarei andato». «È così e basta aggiunge Monica . Sull'utilità di questa nuova norma non mi esprimo, ma se dobbiamo farlo per essere serviti, allora ci sediamo e basta. Certo, vivere il locale così non è la stessa cosa e poi bisogna vedere che cosa succede nelle serate in cui c'è più gente». «Le abbiamo provate tutte commenta invece Oscar e proveremo anche questa per battere il virus. Fra un mese conteremo gli infetti e sapremo se Conte e i suoi ministri avevano ragione o no. L'importante è che si venga incontro ai locali, altrimenti è un'altra mazzata».
GLI ESERCENTI
Interviene Alessandro Arboit, titolare del Botegon: «Volete la verità? Avrebbero fatto meglio a dire: fermi tutti, abbassate le serrande per un mese e vi ristoriamo noi. Invece siamo alla mezze misure». Ma a un locale così, quando costa il Dpcm? «Fatti due conti, noi ci rimettiamo dal 30 al 40% del fatturato. La questione è molto semplice. Se si ritiene che la movida sia un veicolo di infezione, si sarebbe dovuto avere più coraggio nelle chiusure, essere più netti e dire che per un mese bisognava rinunciare al superfluo. Ovviamente però ci sarebbero dovuti essere dei ristori veri, per esempio calcolati sul fatturato dello stesso periodo dello scorso anno. Serrande abbassate e lo Stato che mi fa sopravvivere, poi si tirava una linea e si facevano i conti. Invece per il settore, chi più chi meno, è un'altra bella botta che non sappiamo come ammortizzare». Aggiunge Stefano Zanotto, che gestisce l'osteria Da Arman, altra pietra miliare delle serate trevigiane: «Potevano dichiarare il coprifuoco di tutto ciò che non serve, bar e locali inclusi, ma poi chi si fida di questo governo e degli aiuti che arriveranno? Provo a entrare nella logica, se ne esiste una, e dico che questa è una misura che non serve, un tentativo di dare l'impressione che qualche cosa si sta facendo, che stanno cercando di trovare una via d'uscita, ma dagli effetti probabilmente scarsi. Io in realtà ho l'attività del ristorante che va bene e quindi al problema di servire un'ombra a chi sta in piedi ci metto una pezza. Però dico: hanno deciso di tenere aperta la ristorazione fino alle 24, ma io nel mio locale chiudo la cucina alle 22.30. Di gente che entra alle 23.15 chiedendo da mangiare francamente ne vedo ben poca. Se il problema sono gli assembramenti, molto più delle regole lo fa il buon senso delle persone, che mi pare siano molto più avanti di quello che pensa questo governo».
Denis Barea
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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