IL VIAGGIO
dal nostro inviato
VO' (PADOVA) Un millennio e mezzo di placido

Venerdì 19 Febbraio 2021
IL VIAGGIO dal nostro inviato VO' (PADOVA) Un millennio e mezzo di placido
IL VIAGGIO
dal nostro inviato
VO' (PADOVA) Un millennio e mezzo di placido anonimato: la brevità del nome come unico record nazionale, la festa dell'uva quale massimo richiamo locale, il grigio-azzurro-verde delle cave di trachite come solo cromatismo distintivo. Poi un giorno, all'improvviso, il batter d'ali di un pipistrello a Wuhan scatena a Vo' l'inizio di una tempesta sanitaria ed economica che travolgerà il mondo, benché ancora nessuno possa nemmeno immaginarlo. È il 21 febbraio 2020, un anno (e una vita) fa, quando questo paesino padovano di 3.300 anime registra la prima vittima del Covid in Occidente, diventa il titolo di apertura di tutti i telegiornali e scopre nel rosso il colore dell'isolamento.
IL MISTERO
Si dirà: da qualche parte il Covid doveva pur cominciare, per arrivare a falciare 2,4 milioni di vite in tutti e cinque i continenti, dopo le prime 2.247 spezzate in Oriente fino a quel venerdì. Il fatto è che, malgrado dodici mesi di studi matti e disperatissimi, al di là delle chiacchiere da osteria ancora ci si chiede come accidenti abbia fatto il mortifero virus ad incunearsi proprio in questo lembo dei Colli Euganei, accendendo in contemporanea al lodigiano Codogno il focolaio da cui è poi divampato tutto. «È tuttora un mistero e temo che tale resterà», allarga le braccia Giuliano Martini, il sindaco-farmacista che di quel pomeriggio da tregenda rammenta ogni istante. «Ho ricevuto una telefonata da Domenico Scibetta racconta direttore generale dell'Ulss 6. Mi ha annunciato: Un suo concittadino è morto all'ospedale di Schiavonia, era positivo al Coronavirus. Sono rimasto senza parole, stentavo perfino a crederci. Pensare che dieci giorni prima ero stato uno dei non molti amministratori locali che a Padova aveva partecipato a una riunione, organizzata proprio dall'azienda sanitaria, per presentare il piano pandemico elaborato dalla Regione ancora il 31 gennaio. Avevo ascoltato tutto quello che ci avevano consigliato, per esempio di prestare attenzione alle persone provenienti dalla Cina. Ricordo che mi ero detto: vabbè, nel mio Comune i cinesi si conteranno sulle dita di una mano, meglio così. Ma intanto il dg era sempre in linea: Chiuda subito i due bar della piazza. Così ho fatto, benché frastornato».
LA LOCANDA
Quella sera la locanda Al Sole è diventata, per le statistiche, il primo cluster del Veneto. L'infezione era ormai partita, al di là di questa vetrata su cui adesso campeggia la raccomandazione a «indossare la mascherina», contrappasso dell'infelice vetrofania ispirata a una battuta sguaiata, consegnata in quelle convulse ore da un giovane avventore all'imperitura memoria di YouTube: «Noi abbiamo l'alcol che ci protegge...». E invece no, fra un'ombra di Serprino e una partita a carte non c'era stata nessuna protezione per Adriano Trevisan, che aveva compiuto 78 anni cinque giorni prima, giusto una settimana dopo aver assistito con gli amici al derby Inter-Milan: 4 a 2 per i nerazzurri e 8 contagi per Vo'.
I TAMPONI
La mattina dopo la tragedia, i vadensi erano già in coda per i tamponi disposti dal governatore Luca Zaia, i primi tremila di 6,6 milioni di test, fra molecolari e antigenici, da allora effettuati in ogni angolo della regione. «La sera prima avevo fornito al Comune gli elenchi dei miei assistiti», spiega Luca Rossetto, primo medico ad ammalarsi di Covid in Veneto. «Di quella prima fase confida il dottore di Vo' ho un ricordo molto personale: la prima febbre della mia vita, il ricovero in ospedale, l'apprensione per i miei familiari. Ma dopo un mese di assenza dal lavoro, sono tornato pienamente in servizio e ho vissuto la seconda ondata sul piano professionale: una quarantina di contagiati fra i miei pazienti, con diversi casi gravi e un paio di decessi. All'inizio andavamo a tentoni con le terapie, poi invece le indicazioni si sono tradotte in linee-guida e in piani sanitari. Sicuramente è stata un'esperienza molto impegnativa, ma anche confortante sul piano della collaborazione fra i diversi attori del sistema: il territorio e l'ospedale, i giovani colleghi delle Usca e gli infermieri del distretto. Anche se c'è parecchia stanchezza per le misure di distanziamento, oggi in paese è rimasto un grande rispetto delle regole».
LA COMUNITÀ
Il piccolo centro padovano è stato un precursore anche in questo: come a Codogno e in altri nove Comuni della Lombardia, due giorni dopo qui era già scattata la zona rossa, poi ricompensata dal decreto Rilancio (che inizialmente se n'era dimenticato) con 115.640 euro stanziati dal Governo. Schierato ai confini come in una guerra, l'Esercito fermava ai varchi anche i tre giovani medici Luca Sostini, Mariateresa Gallea e Paolo Simonato, arrivati per sostituire i camici bianchi in quarantena e successivamente nominati cavalieri al merito della Repubblica dal presidente Sergio Mattarella, talmente colpito dall'eroismo di questa comunità da decidere di inaugurarne l'anno scolastico con parole solenni: «Come qui a Vo', dopo l'angoscia e le chiusure, è ripresa a pieno ritmo la vita, così la riapertura delle scuole esprime la piena ripresa della vita dell'Italia». A distanza di tempo, riflette don Mario Gazzillo: «Tutto sommato ce la siamo cavata abbastanza bene. Benché purtroppo qualche anziano sia mancato, non ci sono stati tanti decessi, per fortuna ma direi anche grazie alla Provvidenza. Fra i parrocchiani sento tanta voglia di tornare alla normalità, anche se ahinoi adesso vengono avanti le varianti e bisogna sempre stare molto attenti. Ma alla fine anche questa pandemia ha portato qualcosa di buono, fra i lutti e le fatiche, i problemi sanitari e i disagi economici: ci ha aperto gli occhi sulla nostra fragilità e sulla necessità di darci una mano, per affrontare insieme la vita».
IL CUORE
Domenica sulla facciata del municipio verrà issato un enorme cuore tricolore: 20 metri quadrati di uncinetto, ricamati da 14 volontarie della De Leo Fund, con 26 chilometri di filo in 1.200 ore di lavoro. Generosità, come quella espressa dalla Cantina Colli Euganei, con i suoi 550 produttori, che ogni anno trasformano oltre 9.000 tonnellate d'uva nel blasonato Fior d'arancio e nelle altre denominazioni della zona. «Per l'economia locale sottolinea il presidente Lorenzo Bertin è stato un anno molto difficile. Le vendite sono diminuite del 50% nei canali della ristorazione e del 35% nelle esportazioni, un calo non compensato dall'aumento nella grande distribuzione organizzata. Ma con il nostro progetto, da giugno abbiamo venduto 126.000 bottiglie, devolvendo per ciascuna un euro all'Università di Padova, a favore della ricerca condotta dal professor Andrea Crisanti, nonché dieci centesimi al Comune, a sostegno delle situazioni di necessità». Un anno dopo, la lezione di Vo' si chiama solidarietà.
Angela Pederiva
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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