IL RETROSCENA
ROMA Sembrava il giorno della svolta. Dell'archiviazione della

Venerdì 21 Febbraio 2020
IL RETROSCENA
ROMA Sembrava il giorno della svolta. Dell'archiviazione della zuffa permanente nel governo rosso-giallo. Con Matteo Renzi che a metà mattina annunciava di aver chiesto un incontro a Giuseppe Conte per «mettere fine al teatrino». E con il premier che ricambiava, arrivando a Bruxelles, l'inedita affettuosità: «La mia porta è sempre stata e sarà sempre aperta». Invece Renzi e Conte si avvicinano a grandi passi verso la rottura. Tant'è, che rispunta l'ipotesi del Conte ter.
Questa volta il leader di Italia Viva appare intenzionato a spegnere il cerino. Ai suoi ha confidato di voler essere lui a rompere. E di dare per scontata la fine dell'esperienza nel governo con 5Stelle, Pd, e Leu. Questo perché Renzi, quando la settimana prossima incontrerà Conte, getterà sul tavolo quattro richieste: l'abiura dello stop alla prescrizione e se non l'otterrà confermerà la mozione di sfiducia contro il Guardasigilli Alfonso Bonafede, la revisione o la cancellazione del reddito di cittadinanza «perché non funziona», il sì alla riforma costituzionale per l'elezione diretta del premier, il varo del piano choc per sbloccare le opere pubbliche sul modello Expo e Ponte Morandi. E sa già che, se va bene, riceverà solo un sì. Quello per lo sblocca-cantieri «perché solo un fesso potrebbe dire di no».
A questo punto l'incontro con Conte, come Renzi ha confidato ai suoi, «servirà per lasciarci da uomini maturi». E dà per certe le dimissioni delle ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti e del sottosegretario Ivan Scalfarotto. Come altrettanto certo - a giudizio dell'ex premier - sarà il soccorso dei responsabili: «Del resto il Pd l'ha teorizzato di cacciarci e di prendere al nostro posto alcuni di Forza Italia».
FRAGILE
A frantumare la fragile tregua per il Pd è la lite sulle nomine. Per i renziani, invece, sono state le parole pronunciate dal premier entrando nel palazzo del Consiglio europeo. Il no alla sfiducia a Bonafede e alla proposta del sindaco d'Italia. E, soprattutto, la distinzione tra il leader, i dirigenti e i gruppi parlamentari di Italia Viva, sottolineando che i renziani «collaborano ai tavoli del programma per l'Agenda 2023», mentre il loro capo va in tv a lanciare «proposte estemporanee». La prova provata, secondo Renzi, che Conte sta lavorando per strappargli alcuni senatori. Un'«aggressione» che lo spinge a confidare: «Non ne posso più».
Nel mirino però non c'è solo il premier. «Questa operazione», confida un renziano di rango, «è condotta da Franceschini, è lui che ci vuole cacciare. A questo punto la partita è chiusa. Forse ci strapperanno qualche senatore, ma è evidente che usciremo dalla maggioranza visto che quelli del Pd ci minacciano, i 5Stelle ci insultano, Conte lavora per eliminarci. Staremo all'opposizione e ci staremo benissimo».
A questo punto lo schema è chiaro. Come annunciato da Bruxelles, il presidente del Consiglio porterà in Parlamento (probabilmente cominciando dal Senato) la resa dei conti. Illustrerà i punti programmatici dell'Agenda 2023 e poi scatterà il voto su una risoluzione. «Può darsi che alcuni dei nostri la votino, ma Renzi e i più fedeli sicuramente no», dice chi è molto vicino all'ex premier, «e a quel punto ci faranno fuori con i responsabili».
Non è però esattamente questa la road map che avrebbe in mente Conte, propenso piuttosto a una crisi pilotata. A una domanda sui responsabili, il premier a Bruxelles ha risposto: «Ho chiesto la fiducia con un determinato assetto, sarebbe improprio che cercassi altre maggioranze». Tutto cambierebbe però se Italia Viva, com'è probabile, si sfilasse in occasione del voto della risoluzione sulle comunicazioni programmatiche. In quel caso, anche perché sarebbe necessario sostituire le due ministre renziane, il premier salirebbe al Quirinale. E, senza dimettersi, chiedere a Sergio Mattarella («sulla forza di numeri certificati», dice un deputato contiano) di tornare in Senato per un nuovo voto di fiducia. Ed è lì che salterebbe fuori il nuovo gruppo di responsabili: un cambio in corsa di maggioranza che porterebbe al Conte ter.
Per ora di certo c'è però il sollievo con cui nell'entourage del premier viene accolta l'ipotesi «di un chiarimento definitivo». «E non c'è nulla di meglio di un chiarimento in Parlamento», aggiungono a palazzo Chigi, «del resto è ormai evidente il gioco di Renzi. Da una parte lancia segnali distensivi, dall'altra fa proposte volte a far saltare il governo: la sfiducia a Bonafede, l'abolizione del reddito di cittadinanza, l'esecutivo istituzionale per l'elezione diretta del premier. E, come se non bastasse, nelle ultime ore per ben 10 volte i renziani hanno votato assieme alle opposizioni».
CHIARIMENTO
Un chiarimento lo chiedono, anzi lo pretendono, anche il Pd e i 5Stelle. Monta tra i rosso-gialli, infatti, il terrore di vedere l'azione di governo (quasi ferma da fine dicembre) completamente paralizzata dagli aut aut di Renzi. Dice l'ex ministra dem Roberta Pinotti: «Non possiamo permetterci di essere messi in stallo da Matteo. Se rischiamo la crisi? Nella vita bisogna rischiare, del resto l'alternativa è morire paralizzati. Ma vedrete, i responsabili salteranno fuori al momento opportuno».
Alberto Gentili
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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