IL RETROSCENA
ROMA Per spuntare un maggiore sostegno da parte del M5S nel momento

Mercoledì 15 Luglio 2020
IL RETROSCENA
ROMA Per spuntare un maggiore sostegno da parte del M5S nel momento di massima tensione con il Pd, Giuseppe Conte ha alzato oltremodo il tiro su Autostrade ma ora rischia il boomerang. Al consiglio dei ministri notturno, il presidente del Consiglio si presenta con la linea grillina: revoca della concessione se Benetton non accetta di sparire da Aspi. Un nuovo penultimatum che svela le difficoltà che incontra palazzo Chigi nel portare a compimento la sua minaccia che sventola da giorni, visto che già il consiglio dei ministri di ieri sera sarebbe dovuto essere quello della revoca. «Se I Benetton non lasciano Aspi, non c'è motivo perché M5S resti nel governo», detta perentorio Buffagni.
LA SFIDA
Le difficoltà tecniche amplificano e irrigidiscono le distanze politiche e ieri sera se ne è avuta prova. Salta la riunione con i capidelegazione, che avrebbe dovuto precedere il consiglio dei ministri, e si inizia subito con una sorta di relazione del presidente del Consiglio che riprende i report a suo tempo messi a punto dai ministri delle Infrastrutture e dell'Economia, De Micheli e Gualtieri, aggiornati con i pareri degli avvocati dello Stato e gli ultimi incontri che il segretario generale di Palazzo Chigi, Roberto Chieppa, ha avuto con Aspi e Atlantia. Si discute ma non si fanno passi avanti. Iv dice no alla revoca, il Pd è molto cauto e i dieci ministri 5S, anche per non finire nella gogna della Lezzi, si dichiarano favorevoli alla revoca. Il problema è ora tutto nelle mani di Conte che dovrà trovare a breve una soluzione che gli permetta di non smentire i toni delle sue recenti dichiarazioni e di tenere l'ala movimentista del M5S unita al resto della maggioranza che non ama i Benetton, ma non vuole scaricare sul Paese i costi del più che certo contenzioso.
E così l'ennesimo consiglio dei ministri notturno, convocato al riparo di taccuini, telecamere, streeming e scatolette di tonno, si risolve in sostanza con l'ennesimo rinvio. Raccontano però che già ieri mattina si erano perse le tracce del Conte, «in versione Di Battista», come lo ha definito il renziano Davide Faraone, e i toni fossero più propensi ad una ripresa delle trattative. Tra norme di diritto societario e pareri legali chiesti in grande quantità, annega la revoca e con essa l'ipotesi del commissario che verrebbe nominato con decreto legge solo dopo la firma di un decreto interministeriale a firma Gualtieri e De Micheli. Ma i due hanno da tempo reso esplicita la loro linea e quella del Pd. Ovvero la revoca non si può fare. Il problema è che la minaccia non sortisce ulteriori effetti se non quella di deprimere i titoli in borsa. Meglio - secondo il Pd e Iv - riprendere la trattativa favorendo l'ingresso di Cdp e di altri soggetti finanziari, che diluirebbero la quota dei Benetton. Una linea ribadita dal capodelegazione del Pd Dario Franceschini dopo che ieri l'altro il segretario del Pd Zingaretti l'aveva nascosta dicendosi in sintonia con le affermazioni di Conte contenute nell'intervista al Fatto.
I DUBBI
Quanto tatticismo ci sia nell'oscillante linea del Pd, è difficile dirlo. Certo è che i due ministri che dovrebbero firmare il decreto di revoca, Gualtieri e De Micheli, sono tutte e due del Pd e hanno già espresso i loro dubbi sulla revoca già nella riunione di un mese fa.
Per Conte si tratta ora di trovare una via d'uscita che non scontenti il M5S che della revoca hanno fatto una bandiera. Averla impugnata, anche solo per un giorno, costringe Conte a tenere alta l'asticella ripetendo un po' lo schema comunicativo usato sul Mes. «No al Mes e sì ai bond» è stato lo slogan delle settimane scorse. Nella risoluzione che verrà votata oggi in Parlamento c'è però anche il Mes. «Revoca o via i Benetton», non può non piacere al ministro degli Esteri Luigi Di Maio ed infatti anche nel consiglio dei ministri ha sostenuto la linea della revoca. Un modo per sostenere la linea del premier, ma anche per imputargli la sconfitta.
Nessuno intende arrivare alla crisi di governo su Autostrade, anche se il Quirinale guarda con preoccupazione lo scontro in atto. La vicenda Autostrade segnala però per il Pd - che nelle scorse settimane aveva accusato il premier di aver portato il governo nel «pantano» - il costo da pagare per tenere in piedi la legislatura. Se è «meglio tirare a campare che tirare le cuoia», i dem potrebbero constatarlo con i risultati delle elezioni regionali di fine settembre.
Marco Conti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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