IL RETROSCENA
ROMA Chissà se quel temporeggiare, quell'amore per i tempi

Domenica 9 Agosto 2020
IL RETROSCENA
ROMA Chissà se quel temporeggiare, quell'amore per i tempi lunghi, quel «frattanto» - divenuto la cifra di un governo salvo intese - non possano spiegare quei quattro giorni di troppo. D'altra parte si tratta solo di quattro giorni che, se applicati all'atteso rilancio di Alitalia, alla soluzione per l'ex Ilva o alla modifica dei decreti sicurezza, sarebbero ben poca cosa.
IL MOMENTO
Se non fosse che proprio quei quattro giorni di rinvii e di «frattanto» pesano nell'inchiesta della magistratura, scatenano l'indignazione delle famiglie della bergamasca che hanno perso i propri cari e preoccupano il presidente del Consiglio che per settimane si è opposto, tramite la Protezione Civile e l'Avvocatura dello Stato, alla desecretazione dei verbali del Comitato tecnico scientifico. Sino a venerdì sera il parere dei tecnici era stato posto dal governo come base delle scelte assunte nel momento di massima esplosione della pandemia attraverso uno strumento, il dpcm, che ha limitato anche le libertà personali.
Venerdì notte, al termine del consiglio dei ministri che ha varato salvo intese un decreto da 25 miliardi, si è venuto invece a sapere che fu Conte ad «assumersi sempre la responsabilità politica delle proprie decisioni» e che per queste ci sono voluti quattro interminabili giorni. Il presidente del Consiglio lo ha spiegato sostenendo di aver appreso solo il 5 marzo del verbale del Cts che chiedeva di chiudere i comuni di Alzano e Nembro e che il 7 fu lui a convincere il Cts che occorreva chiudere tutta la Lombardia. Quattro giorni di ritardo e poi il lockdown totale. Un intero Paese chiuso mentre il Cts suggeriva chiusure per zone. E invece, in nome di un principio di precauzione tutto da spiegare, si sbarra l'Italia. Una decisione che si trasforma in sentenza di condanna per tantissime imprese e lavoratori, specie del centrosud. «No a giochini sui verbali del Cts», ha chiesto il premier che viene difeso dalla sua maggioranza, ma che assumendo su di sé la responsabilità delle scelte, ancor più rischia di essere chiamato da chi indaga a spiegare chi lo convinse o chi lo trattenne. Chi cercò di convincere che Alzano e Nembro erano come Codogno ora è chiaro. Meno chi indusse il governo a fermare i 250 poliziotti e carabinieri già dislocati dal Viminale in Val Seriana. Ai magistrati Conte ha spiegato di non aver ricevuto il 3 marzo il verbale del Cts, ma ne conosceva il contenuto anche se il protocollo di palazzo Chigi porta la data del 5.
I due omissis che appaiono nel Verbale-16 del 3 marzo, non aiutano a capire, ma è facile comprendere. Basta risalire a quei giorni che vanno dal 28 febbraio - giorno in cui a Codogno si scopre il paziente-uno mentre la Confindustria bergamasca lancia lo spot Bergamo is running - sino al 9 marzo, quando Conte decide il lockdown per l'Italia intera. Ancora una volta contro i consigli del Cts che suggerivano chiusure a zone e per attività. In lockdown sprofonda tutto il Paese, mentre in Val Seriana iniziano a sfilare i camion militari con le bare.
Davanti alla rapidissima diffusione del virus ci sono quattro giorni di rinvii e «frattanto». Salvo poi imporre la chiusura. «La politica ha il diritto e il dovere di fare scelte, motivandole, dopo aver sentito i tecnici e non adeguandosi ai loro pareri», sostiene il sottosegretario grillino Stefano Buffagni. In attesa di conoscere i motivi non ci sono però solo i magistrati e le famiglie della Val Seriana, ma presto anche coloro che, passata l'estate, non ritroveranno il posto di lavoro.
Marco Conti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci