IL MOVIMENTO AI RAGGI X
TRIESTE Hanno ripetuto fino allo sfinimento il canto

Sabato 16 Ottobre 2021
IL MOVIMENTO AI RAGGI X
TRIESTE Hanno ripetuto fino allo sfinimento il canto nato nel Cile di Salvador Allende: «El pueblo unido jamas sera vencido». Il problema che il pueblo, in questo caso il popolo contro il Green pass non era né così unito, né così tanto pueblo. Passi per i numeri, quasi dimezzati rispetto al corteo che solo pochi giorno fa aveva paralizzato Trieste ma comunque alti. Il vero problema è stato rappresentato dall'unità. Che non si è vista, almeno non ai livelli che servirebbero per bloccare un porto, una città, qualsiasi cosa.
E nelle crepe del movimento, guidato solo sino a un certo punto dai portuali veri e propri, hanno provato a infilarsi gruppi estremisti, ultras del mondo del calcio, centri sociali e antagonisti. Con scarso successo, va detto e rimarcato in senso positivo. Ma è stata la testimonianza di quanto il polso della manifestazione non fosse così saldo.
INFILTRAZIONI
Gruppi di estrema destra, senza simboli noti ma chiaramente identificabili nei pressi delle bocche del varco 4 del porto di Trieste. Cellule dei centri sociali, provenienti soprattutto dal Veneto. Sparute rappresentanze degli antagonisti. Un membro di questi ultimi, nel pomeriggio, ha provato a prendere la parola dal palco improvvisato allestito dai portuali. Non ce l'ha fatta, perché i leader del coordinamento dei lavoratori dello scalo hanno messo le cose in chiaro, e gli antagonisti al loro posto: «Questa è casa nostra», hanno sancito. Tutto rientrato. Pacifici e in disparte, invece, alcuni ultras della Triestina Calcio. Controllati gli estremisti di destra, che non hanno provocato disordini.
IL RETROSCENA
Ma ancora di più delle infiltrazioni, a contare sono le divisioni interne al coordinamento dei portuali. Sono le più sanguinose, per il futuro della protesta. Le più confortanti per l'operatività del porto di Trieste. Già giovedì sera, infatti, la tensione all'interno del gruppo dei lavoratori è salita vertiginosamente. In un'assemblea alla quale hanno partecipato circa 200 portuali si è materializzata la frattura: da una parte i più caldi, il gruppo guidato dal leader Stefano Puzzer; dall'altra chi ha manifestato la propria contrarietà di fronte all'ipotesi di uno sciopero ad oltranza. Sono volate parole grosse, si è arrivati a sfiorare la rissa e qualche mano si è alzata. Non per prendere la parola.
Una divisione, quella in seno al coordinamento dei portuali, che si è vista anche ieri. «Non ci fermeremo fino a quando il governo non deciderà di ritirare del tutto il Green pass, siamo disposti a rimanere qui anche fino al 31 dicembre», scandiva al microfono Stefano Puzzer. Applausi a scena aperta. Ma finito il comizio, le anime del movimento venivano fuori. «Se decidessimo di muoverci oltre le 24 ore - diceva ad esempio un lavoratore che nello stesso momento chiedeva di restare anonimo, ma con addosso la pettorina gialla e il simbolo dei portuali - andremmo a schiantarci. Giusto dare un segnale forte, ma da domani (oggi, ndr) dobbiamo tornare a lavorare».
I VERI CAPI
Tra le ottomila persone che al picco massimo delle presenze ieri hanno affollato il varco numero 4 del porto di Trieste, c'era un po' di tutto. Ma le vere redini della protesta sono sembrate in mano al Coordinamento no Green pass di Trieste, la stessa sigla che aveva organizzato - con successo - i cortei che negli ultimi 10 giorni erano riusciti a paralizzare in parte il traffico del capoluogo giuliano. Una regia in ombra, ma assolutamente presente e senza le divisioni interne che hanno macchiato l'intento unitario dei portuali. E tenuto aperto lo scalo del golfo.
M.A.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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