Il mafioso Graviano e il carcere al 41 bis: «Guardie distratte, ho concepito un figlio»

Sabato 15 Febbraio 2020
LA DEPOSIZIONE
REGGIO CALABRIA «Concepii mio figlio grazie ad una distrazione degli agenti del Gruppo operativo mobile». Giuseppe Graviano, l'ex boss di Cosa nostra capo del mandamento di Brancaccio a Palermo dice e non dice ma fa comunque una rivelazione importante che riguarda la sua sfera privata (e non solo), al processo in Corte d'assise «'Ndrangheta stragista» in corso a Reggio Calabria.
Graviano, già condannato per le stragi del 92-93 e per l'omicidio di don Pino Puglisi, è imputato insieme a Rocco Santo Filippone, uomo di fiducia dei Piromalli di Gioia Tauro, di essere stato il mandante dell'agguato in cui furono uccisi gli appuntati dei carabinieri Giuseppe Fava e Antonino Garofalo, assassinati nel gennaio del 1994 nell'ambito, secondo l'accusa, del progetto stragista portato avanti da Totò Riina. In videoconferenza dal carcere in cui è detenuto, l'ex boss palermitano, incalzato dal Procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, spiega dallo schermo installato nell'aula bunker che «sulla procedura di concepimento mi istruì un ginecologo che non posso certo nominare». Poi, però, evita accuratamente di rispondere sulle modalità pratiche utilizzate per concepire il figlio quando, nel 1998, era detenuto in regime di carcere duro nel penitenziario dell'Ucciardone a Palermo. E davanti alle domande del pm Lombardo, che insiste per saperne di più, elude le risposte e mostra chiaramente di non voler fornire ulteriori chiarimenti.
A sette giorni di distanza dalla precedente udienza, nel corso della quale dopo 26 anni aveva rotto il silenzio sui rapporti con Silvio Berlusconi arrivando anche a dire di averlo incontrato tre volte da latitante (tesi respinta dalla difesa dell'ex premier), Graviano torna sulle scelte adottate dall'ex Cav quando era Presidente del Consiglio, addebitandogli ancora il fatto di non avere onorato i patti e di avere tradito molte delle attese, in particolare con «il mantenimento del regime carcerario del 41bis e la mancata abolizione dell'ergastolo». «Anche Marcello Dell'Utri - dice - è stato tradito da Berlusconi». Il boss glissa, invece, sulle domande relative ai contenuti delle intercettazioni ambientali raccolte dagli inquirenti durante la comune detenzione con il camorrista pentito Umberto Adinolfi. L'ex boss, in quella circostanza, aveva parlato con Adinolfi sia del «tradimento di Berlusconi, non solo per gli investimenti immobiliari a Milano per venti miliardi di lire, ma per avere aggravato la legislazione antimafia che ha danneggiato pure lui».
LA REPLICA
Dura la replica del legale di Berlusconi, Niccolò Ghedini: «Anche quest'oggi dopo un'udienza in cui tutte le domande a Giuseppe Graviano sono state dedicate inspiegabilmente, dato che nulla hanno a che vedere con il capo di imputazione, ai suoi presunti e in realtà insussistenti rapporti con il presidente Berlusconi, si è potuto acclarare la totale e assoluta non veridicità del narrato. Ancora una volta Graviano ha negato ogni responsabilità propria, ancorché gravato da molteplici sentenze passate in giudicato per gravissimi reati, tentando di accreditare la sussistenza di rapporti con il presidente Berlusconi che mai vi sono stati e che, non solo sono privi di riscontri, ma vi sono elementi di certezza che mai ve ne furono, né diretti, né indiretti, né tantomeno di natura patrimoniale. L'unica cosa chiara ed evidente è il suo fortissimo risentimento contro il presidente Berlusconi per tutti i provvedimenti legislativi assunti per contrastare, finalmente in modo efficace, il fenomeno mafioso».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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