Il fratello di Saman conferma: «Uccisa dallo zio, ora fatemi andare dai miei»

Sabato 19 Giugno 2021
Il fratello di Saman conferma: «Uccisa dallo zio, ora fatemi andare dai miei»
L'INCHIESTA
REGGIO EMILIA Una testimonianza che diventa prova. «A uccidere Saman è stato lo zio Danish». Questo è quanto ha dichiarato ieri mattina il fratello della diciottenne d'origine pachistana scomparsa da un mese e mezzo nel Reggiano e che si presume essere stata uccisa per il rifiuto di un matrimonio combinato con un cugino in patria, nonché per il fidanzamento con un connazionale inviso alla famiglia.
Il fratello sedicenne ha confermato, nell'incidente probatorio in tribunale a Reggio Emilia, quanto aveva già rivelato agli inquirenti. Una testimonianza che a tutti gli effetti è ora «cristallizzata», utilizzabile al processo come possibile prova schiacciante nei confronti dei presunti colpevoli del delitto premeditato della sorella. Il minore nell'audizione protetta - coperto da un paravento - ha risposto a tutte le domande del gip Luca Ramponi, della pm Laura Galli titolare del fascicolo d'inchiesta, della procuratrice capo reggente Isabella Chiesi e degli avvocati della difesa. Il ragazzino è stato descritto come «preparato e tranquillo» dalla legale dello zio, la quale ha ribadito che ha «confermato le accuse». Nell'interrogatorio il fratello di Saman avrebbe difeso anche i genitori, dai quali vorrebbe tornare. Ma sarà il tutore affidatogli dalla Procura dei Minori a decidere le sue sorti, valutando il modo migliore in cui proteggerlo. Tuttora si trova in una struttura segreta.
Gli indagati sono cinque. Lo zio Danish Hasnain, 33 anni, ritenuto l'esecutore materiale dell'omicidio, ricercato in mezza Europa assieme al 35enne Nomanhulaq Nomanhulaq, cugino di Saman. I due avrebbero scavato la fossa dove nascondere il corpo di Saman, la sera del 29 aprile quando sono stati ripresi con pale, piede di porco e un secchio, mentre si dirigevano verso i campi dietro l'azienda agricola di Novellara dove vivevano e lavoravano. Con loro due c'era anche l'altro cugino della vittima, Ikram Ijaz, 28 anni, unico arrestato che ora si trova in carcere a Reggio Emilia dopo essere stato fermato il 28 maggio scorso a Nimes, in Francia, mentre tentava di raggiungere alcuni parenti in Spagna a bordo di un bus diretto a Barcellona. Il 9 giugno è stato poi consegnato alle autorità italiane a Ventimiglia. Nell'interrogatorio di garanzia del 12 giugno si è detto «estraneo alla vicenda», ma oggi i suoi legali hanno ribadito che è disposto «a collaborare, rilasciando presto dichiarazioni spontanee alla magistratura».
E poi indagati sono i genitori di Saman. Shabbar Abbas, 46 anni, e Nazia Shaheen, 47 anni, latitanti in Pakistan almeno dal primo maggio, quando sono rientrati nel Paese d'origine, come dimostrano i biglietti d'imbarco a Milano Malpensa. La rogatoria internazionale nei loro confronti ancora non ha terminato l'iter d'attivazione. «Non mi risultano richieste ufficiali da parte delle autorità italiane, ma quando ciò avverrà metteremo in campo la massima collaborazione», ha detto oggi a Novellara il console generale del Pakistan Manzoor Ahmad Chaudhry in visita alla sindaca Elena Carletti. Il diplomatico ha anche condannato «senza se e senza ma il delitto» che sarebbe avvenuto la notte tra il 30 aprile e il primo maggio.
Saman abbandona la comunità in cui era protetta dopo la denuncia dei genitori volontariamente l'11 aprile per poi fare ritorno a casa il 20, per riottenere i suoi documenti. Avrebbe voluto fuggire col fidanzato, un connazionale. E probabilmente, stando a quanto rivelano alcune chat col ragazzo, sarebbe stata ingannata dai genitori che le avrebbero fatto credere di poter essere lasciata libera di vivere la propria vita. Il 3 maggio, a delitto probabilmente già avvenuto, i carabinieri si recano a casa di Saman trovando solo il fratellino con lo zio. Qualcosa non quadra e partono le indagini. Il 5 maggio i militari a Novellara non trovano più nessuno. Il 10 maggio a Imperia la polizia ferma a un controllo lo zio col fratellino di Saman. Il primo viene lasciato libero, in assenza all'epoca di un mandato di cattura, mentre il minore viene portato in comunità. E qui arriva la prima confessione agli inquirenti.
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