IL COLLOQUIO
VENEZIA «Che mona che son stato. Troppo corretto». Mona

Mercoledì 12 Agosto 2020
IL COLLOQUIO VENEZIA «Che mona che son stato. Troppo corretto». Mona
IL COLLOQUIO
VENEZIA «Che mona che son stato. Troppo corretto». Mona è una parola che ha vari significati: ignorante, stolto, sciocco. L'accezione veneta, però, ne ha di più. Può voler dire di essere stati troppo solerti, troppo ubbidienti, perfino troppo precisi, salvo poi sbagliare e pagarne le spese. In una parola: mona. Gianluca Forcolin, leghista, stessa classe di Luca Zaia (52 anni il prossimo 28 agosto), veneziano di Musile di Piave dove è stato anche sindaco, già deputato, quindi vicepresidente della Regione Veneto dal 2015, se lo dice da solo. Avesse fatto il furbo, avesse risposto «no» alla domanda messa dal governatore Zaia nella chat dei leghisti, non avesse fatto il precisino, forse oggi non sarebbe nel tritacarne mediatico, additato al pubblico ludibrio per aver chiesto, e neanche ottenuto, il bonus da 600 euro per le partite Iva penalizzate dall'emergenza sanitaria del coronavirus. Beffato e danneggiato: «La domanda all'Inps non l'ho neanche fatta io, l'ha fatta la mia socia. E quando le hanno chiesto integrazioni perché lo studio professionale non rientrava nei parametri stabiliti, la mia socia non ha nemmeno risposto e la pratica è stata chiusa. Ossia, è stata caricata la richiesta sulla piattaforma ma non presentando la documentazione necessaria la pratica non è partita e quindi all'Inps non risulta neppure la richiesta, ci sono solo i dati anagrafici».
IL RIMPIANTO
Forcolin, eletto nel 2015 in Regione Veneto nella lista della Lega, ha un solo rimprovero da farsi: essere stato corretto. O forse una stelletta da attaccarsi al petto. «Domenica pomeriggio, quando il presidente ci ha chiesto nella nostra chat se avevamo fatto la domanda del bonus per le partite Iva, uno scaltro probabilmente avrebbe detto no. Tanto, chi avrebbe potuto controllare? Io, invece, sono stato sincero, onesto. Non ho risposto nella chat comune - dando evidentemente adito a chiacchiere e supposizioni - e ho chiamato il governatore». Forcolin spiega di aver voluto fare una verifica con lo studio commerciale di cui è socio assieme ad altri due professionisti, tutti tributaristi. Poi, con il presidente, ha chiarito: «Sì, la domanda è stata fatta, l'ha presentata la mia collega. Siamo uno studio professionale, tre tributaristi, compreso me che sono part-time. E la mia collega, che ha il mio codice identificativo Inps, ha fatto la domanda anche per me». Forcolin ripete quanto aveva già detto lunedì: i soldi non sono mai arrivati, è stata fatta la domanda - a sua insaputa, sì - ma non è mai stata perfezionata. «Era tutto molto nebuloso, a un certo punto è venuto fuori che il contributo non sarebbe spettato ai tributaristi. E la mia collega neanche ha completato l'istruttoria, la pratica è morta». Soldi presi? «Neanche un centesimo».
L'AMAREZZA
Forcolin dice di essere stato sincero, corretto. Ma il partito non transige: chi prende dalla politica 8mila euro netti al mesi, come è il caso dei consiglieri regionali del Veneto, non può chiedere i 600 euro di bonus stanziati dal governo di Giuseppe Conte. Non perché sia un reato, non c'è nulla di illegale, è semplicemente una questione di opportunità politica. In tre parole: non si fa.
«La domanda l'ha fatta la mia socia, non è neanche stata formalizzata, io non ho preso un centesimo», ripete il vicepresidente e assessore regionale al Bilancio. Che ieri, alla seduta della giunta veneta non si è presentato. Non è stato l'unico non presente, ma la sua assenza si è notata più delle altre. Lunedì scorso non si è fatto vedere neanche al K3 a Treviso, la sede della Lega dove si son raccolte le accettazioni delle candidature, con gli aspiranti consiglieri scaglionati per provincia e per orario. «Ero a casa con la febbre», spiega. Affranto: «Non ho fatto niente, non ho preso niente, ho detto solo la verità». E pensare che l'hanno già ribattezzato: Forcolinps.
Alda Vanzan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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