IL COLLOQUIO
SANTA MARIA DI SALA (VENEZIA) In quanti modi si può definire

Sabato 14 Ottobre 2017
IL COLLOQUIO
SANTA MARIA DI SALA (VENEZIA) In quanti modi si può definire un'attesa lunga 38 anni? E che potrebbe arrivare ad essere di 40, 50, perfino tutta la vita? Lui, Adriano Sabbadin, figlio di Lino, il macellaio di Santa Maria di Sala ucciso da Cesare Battisti, la chiama il suo ergastolo. E, ormai, non alimenta nemmeno più speranze di rivedere in Italia l'ex terrorista. «In tutti questi anni le delusioni sono state troppe. Non ci credo più. Ci crederò solo il giorno in cui lo riporteranno davvero qui».
LA SOFFERENZA
Adriano, che ha portato avanti il mestiere del papà («abbiamo un'attività, lavoriamo, cosa dovevamo fare?»), parla per frasi brevi. Concise. Come per soffocare un fuoco che, sotto le braci, arde ancora. «Le mie sorelle non ne vogliono più sapere - racconta -, esprimono la loro sofferenza in altro modo. Io sfogo la mia rabbia, ma non è facile portare avanti questa battaglia. Non è facile». L'altra sera Adriano era a Porta a porta su RaiUno, il giorno dopo ospite di La7. Ogni volta è come rivivere tutto. «Un fantasma che torna. Se di notte sogno ancora quella scena? No, ma di giorno, quando leggo sui quotidiani di Battisti in Brasile, la rivivo. Incancellabile». L'omicidio di Lino Sabbadin è diventato perfino una voce di Wikipedia: «Il 16 febbraio 1979 Lino Sabbadin si trovava nella macelleria di sua proprietà, a Santa Maria di Sala, in provincia di Venezia, quando un commando di terroristi lo uccise per punirlo per aver reagito alla precedente rapina. L'omicidio fu rivendicato dalla formazione terroristica di sinistra Proletari Armati per il Comunismo (PAC) in segno di solidarietà alla piccola malavita che con le rapine porta avanti il bisogno di giusta riappropriazione del reddito e di rifiuto del lavoro». Adriano all'epoca aveva 17 anni. «Ero nel retro del negozio. Ho sentito gli spari e sono corso lì. Ho visto mio padre in un lago di sangue. Mia madre che lo prendeva in braccio cercando di rianimarlo. Da quel momento la nostra vita è cambiata brutalmente». Cesare Battisti - condannato a due ergastoli per questo ed altri tre omicidi - faceva da palo, Diego Giacomini fu l'esecutore materiale.
IL PERDONO
Qualche anno fa, in un'intervista, Adriano confessò che avrebbe preferito «un Battisti pentito che un Battisti dietro le sbarre», aggiungendo che «se avesse chiesto scusa, la vicenda sarebbe già finita». È ancora così? «No, ormai no - risponde sicuro il macellaio di Santa Maria di Sala -. Quell'immagine dell'altro giorno in cui brinda alla sua libertà fa troppo male. Io da cattolico posso perdonare, ma lui non si è mai pentito. Ci ignora, da Battisti non arriveranno mai delle scuse. L'abbiamo capito».
Battisti, intanto, rilascia interviste in cui non si dichiara un rifugiato, ma un immigrato. «Perché dovrei fuggire da un Paese in cui sono protetto?», ha risposto ai giornalisti brasiliani dopo l'ultimo arresto-lampo. In tutti questi anni, però, Adriano Sabbadin non è stato mai sfiorato dal pensiero di andare lì, in Brasile, per guardare in faccia l'assassino. «No, la Giustizia ha fatto il suo corso. Anzi, no. La Giustizia non l'abbiamo ancora avuta, e non è una questione di vendetta. Restiamo in balìa di questa vicenda, di quello che leggiamo giorno dopo giorno dai giornali. Per capire come ci si sente bisogna provarlo sulla propria pelle. Oggi mio figlio che ha 10 anni comincia a chiedermi cos'è successo quel 16 febbraio 1979, ma come faccio a spiegarglielo? Mi ha detto che avrebbe voluto conoscere il nonno». E se, davvero, Cesare Battisti venisse estradato in Italia? «Se anche arrivasse, non so se vorrò rivederlo in faccia. È dura vedere l'assassino di tuo padre».
Fulvio Fenzo
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